((Nota: nel rispetto della privacy la narrazione riportata attinge a un insieme di casi simili di persone diverse, utili alla descrizione dei principi pratici e teorici riportati, e rinarrati per scopi esemplificativi come un’unica storia).

Mario, un uomo di 35 anni, è entrato nel mio studio con uno sguardo che raccontava molto più delle sue parole. Il suo viso era un libro aperto di emozioni non dette, ma chiaramente percepibili: una tensione che si manifestava nel leggero tremolio delle mani, nel respiro affannoso e in quegli occhi spalancati che sembravano cercare disperatamente una via di fuga, anche all’interno di uno spazio sicuro come il mio studio. Portava con sé una storia di paura che, come una nebbia sottile ma impenetrabile, aveva cominciato a dominare la sua vita. La sua claustrofobia, sviluppatasi dopo un episodio di panico durante un volo aereo, si era estesa come un’ombra su ogni aspetto della sua esistenza.

La vita di Mario era diventata un susseguirsi di evitamenti: ascensori, stanze senza finestre, metropolitane, ogni spazio chiuso era percepito come una minaccia incombente, un possibile innesco per il terrore. “Il cuore inizia a battere all’impazzata, mi manca l’aria,” mi confessò, mentre con le mani faceva un gesto inconsapevole di chi si sente intrappolato. Era come se fosse stato rinchiuso in una prigione invisibile, creata dalla sua mente, ma altrettanto reale e soffocante. Cercava disperatamente una via d’uscita, ma ogni tentativo sembrava solo stringere ulteriormente le sbarre.

La scelta della Terapia Strategica

Fin dai primi incontri, ho percepito che Mario era intrappolato in un circolo vizioso, un ciclo di tentativi disperati di evitare la paura che, paradossalmente, non facevano altro che rinforzarla. Come diceva Paul Watzlawick, uno dei padri della Terapia Strategica, “Il tentativo di soluzione del problema è il problema.” Questo principio, che sembra controintuitivo, è al cuore dell’approccio strategico. Quello che lui faceva per cercare di proteggersi, evitare gli spazi chiusi, stava in realtà alimentando la sua fobia, come benzina su un fuoco già acceso.

Abbiamo intrapreso un percorso basato sulla Terapia Strategica, un approccio che utilizza tecniche paradossali e ristrutturazioni cognitive per spezzare questi cicli distruttivi. L’obiettivo non era semplicemente quello di eliminare la paura, ma di trasformare il modo in cui Mario la percepiva, fino a farle perdere il potere paralizzante che esercitava su di lui. Questo approccio si basa su una comprensione profonda delle dinamiche del comportamento umano, dove la paura non è solo un nemico da sconfiggere, ma un sintomo da comprendere e, talvolta, da sfruttare.

La prescrizione del sintomo: affrontare la paura

Una delle prime tecniche che ho introdotto è stata la prescrizione del sintomo. L’ho invitato a confrontarsi direttamente con la sua paura, ma in un modo che andava contro ogni suo istinto naturale: ogni giorno avrebbe dovuto sedersi in una stanza chiusa e provare deliberatamente a evocare quelle sensazioni di panico che tanto temeva. Gli chiesi: “Cosa succederebbe se provassi a far emergere quel terrore che cerchi così disperatamente di evitare?”

Era comprensibilmente titubante all’inizio e mi chiese: “Ma non peggiorerà tutto questo?” con una voce in cui si mescolavano preoccupazione e speranza. Gli spiegai che spesso, affrontando volontariamente ciò che ci terrorizza, riusciamo a togliergli il potere. È un principio che richiama la “legge dell’effetto contrario” di Émile Coué: più cerchiamo di evitare qualcosa, più quella cosa si rafforza e cresce dentro di noi, assumendo proporzioni che non corrispondono più alla realtà, ma solo alle nostre paure.

Nonostante la sua riluttanza iniziale, decise di seguire le indicazioni, forse spinto dal desiderio disperato di trovare una soluzione alla sua sofferenza; con il passare del tempo, cominciò a notare dei cambiamenti. “Non posso dire che l’ansia sia sparita del tutto,” mi disse durante una seduta, “ma ora non mi blocca più come prima. Riesco a stare in una stanza chiusa senza sentirmi soffocare.” Questo era un segnale chiaro che la paura stava iniziando a perdere il suo potere, un piccolo ma significativo passo avanti.

La prescrizione del sintomo aveva iniziato a destabilizzare la fobia, riducendone l’intensità e permettendogli di sentirsi progressivamente meglio; iniziava a sperimentare, in prima persona, il paradosso terapeutico: cercando di provocare la paura, la paura stessa si riduceva. Era come se la sua mente, stanca di essere costantemente in allerta, avesse finalmente deciso di abbassare la guardia, concedendogli un po’ di tregua.

Ristrutturazione cognitiva: cambiare la prospettiva

Parallelamente al lavoro sul sintomo, abbiamo intrapreso un percorso di Ristrutturazione Cognitiva. Gli ho suggerito di considerare la possibilità che la sua claustrofobia non fosse solo una minaccia, ma anche un’opportunità per conoscere meglio sé stesso e per scoprire risorse interiori che fino a quel momento erano rimaste latenti.

“Forse questa paura è qui per insegnarti qualcosa,” gli dissi, cercando di instillare in lui una nuova prospettiva. “Potrebbe essere una sfida, un modo per scoprire risorse dentro di te che non sapevi di avere.” Questo concetto iniziava a fare breccia nella sua mente, pian piano, iniziò a riflettere su queste parole, e nel corso delle sedute successive, la sua visione della paura iniziò a cambiare.

Un momento particolarmente rivelatore avvenne durante una delle nostre sessioni, quando mi disse: “Penso che questa claustrofobia sia stata un segnale, un modo con cui il mio corpo mi dice che è il momento di affrontare qualcosa.” Questo autosvelamento segnò un punto di svolta nel nostro lavoro, stava cominciando a vedersi non più come una vittima delle sue paure, ma come qualcuno capace di trasformare una debolezza in una forza; questo era esattamente il tipo di cambiamento che speravo di vedere, a livello non solo cognitivo, ma anche emotivo e comportamentale.

L’evoluzione del trattamento: dalla paura al coraggio

Con il passare del tempo, Mario ha continuato a lavorare su sé stesso, affrontando progressivamente le situazioni che un tempo evitava con terrore, la sua claustrofobia non era più il mostro che lo paralizzava, ma un avversario che poteva affrontare e, infine, vincere completamente. Iniziò a sfidare sé stesso in modo sempre più coraggioso, mettendosi alla prova in situazioni che prima considerava impensabili. Una delle sfide più significative fu quando decise di prendere l’ascensore per la prima volta dopo anni.

Ricordo ancora la telefonata che ricevetti subito dopo: “L’ho fatto. Non è stato facile, ma ce l’ho fatta.” La sua voce, carica di emozione, era quella di una persona che aveva appena conquistato una vetta importante, questo non era solo un piccolo passo avanti nella terapia, ma una grande vittoria personale. Nel corso del nostro lavoro insieme, ho visto Mario evolversi non solo nel superare la sua claustrofobia, ma anche in altri aspetti della sua vita; la terapia ha agito come un catalizzatore, innescando un processo di crescita che ha coinvolto tutte le aree della sua esistenza. Ha iniziato a vedere ogni sfida come un’opportunità di crescita, ogni ostacolo come una lezione da imparare. La Terapia non solo lo ha aiutato a superare la sua fobia, ma gli ha fornito strumenti preziosi per affrontare qualsiasi difficoltà con una nuova mentalità, più proattiva.

Spesso siamo noi stessi a creare le gabbie in cui ci imprigioniamo, costruendo barriere fatte di paure irrazionali e convinzioni limitanti, ma con lo stesso potere con cui costruiamo queste gabbie, possiamo trovare le chiavi per uscirne. Il percorso con Mario mi ha ricordato le parole di Viktor Frankl, che disse: “Quando non siamo più in grado di cambiare una situazione, siamo sfidati a cambiare noi stessi.” Questo viaggio ha dimostrato che la paura non ci definisce, ma ciò che facciamo per affrontarla sì.

 

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Bibliografia:

Watzlawick, P., Weakland, J. H. & Fisch, R. (1974). Change: Principles of Problem Formation and Problem Resolution. New York: Norton & Co. (Tr. it. Change. La formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio-Ubaldini, 1974).

Nardone, G. (1993). Paura, panico, fobie: Terapia in tempi brevi. Milano: Ponte alle Grazie.

Coué, É. (1922). Self Mastery Through Conscious Autosuggestion. New York, NY: American Library Service.

Frankl, V. E. (1959). Man’s Search for Meaning. Boston, MA: Beacon Press.

Citazioni e Aforismi

Seneca. (n.d.). Lettere a Lucilio. (Varie edizioni).