Dagli ultimi dati raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità nel biennio 2021-2022, emerge che in Italia circa il 6% della popolazione adulta riferisce sintomi depressivi, sintomi che diventano più frequenti con l’aumentare dell’età e tra chi vive in condizioni di svantaggio socioeconomico.

Tra gli over 65, i sintomi depressivi raggiungono addirittura il 14% dopo gli 85 anni e il 19% tra chi riferisce due o più patologie croniche.
Un dato importante e, allo stesso tempo allarmante, è che una discreta quota di persone con sintomi depressivi non chiede aiuto:

il 28% tra gli adulti e il 38% tra gli anziani, e chi lo fa, si rivolge soprattutto ai propri familiari o amici (no agli specialisti).

Non va meglio a livello globale: l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che nel 2030 la depressione sarà il disturbo più diffuso al mondo.

I costi della depressione

La depressione è un disturbo molto costoso da parecchi punti di vista: costi sociali, economici ma anche fisici ed emotivi.

I costi emotivi, probabilmente, sono i più evidenti ed impattanti: la sofferenza, la disperazione e l’impossibilità di vedere un futuro migliore, ne sono i segni più eclatanti.

Ma anche i costi fisici (tante visite mediche, l’incapacità di seguire i trattamenti prescritti), sociali (relazioni interpersonali difficoltose e conflittuali, isolamento sociale) ed economici (in tanti casi la perdita del lavoro e i costi associati alle terapie, psicologiche e farmacologiche), non mancano di colpire ferocemente, chi si trova ad incrociare la strada di questo disturbo.

Dal “cosa” al “come”: la ricerca-intervento sulla depressione nell’ambito dell’approccio strategico

Questo disturbo, così complesso nella sua fenomenologia, richiede interventi efficaci ed efficienti che riescano a restituire alla persona, in tempi brevi, modalità di pensare e agire in relazione a sé stessa, agli altri e al mondo, funzionali al proprio benessere e migliorativi della propria qualità di vita.

Da decenni la ricerca si è concentrata moltissimo sull’identificare le cause della depressione, dando vita ad una enorme divergenza tra i vari approcci (sia in ambito medico che psicologico): l’approccio breve strategico, al contrario, negli ultimi decenni si è speso per studiare la depressione da un punto di vista empirico, ovvero dal punto di vista del “come” funziona il problema, cosa pensa e come pensa la persona, in relazione a sé stessa, agli altri e al mondo.

Questa impostazione consente di andare oltre l’ipotesi di causalità e di entrare nel merito di ciò che contribuisce a formare e a far persistere il problema: si passa, dunque, dalla ricerca della causa del problema a come quello stesso problema possa essere cambiato.

Rinuncia e Credenza: le basi del funzionamento depressivo

L’ approccio strategico allo studio e comprensione dei disturbi depressivi, ha portato alla luce diverse modalità di espressione all’interno del quadro clinico della depressione.

Ognuno di questi differenti volti della depressione sembra costituirsi e mantenersi attraverso due elementi comuni: la rinuncia e la credenza.

La rinuncia è la tipica tentata soluzione disfunzionale che caratterizza tutti i funzionamenti depressivi individuati.

Una rinuncia che si attua a tutti i livelli: da quello ideativo a quello comportamentale, dal parziale al globale.

La rinuncia e la rassegnazione che caratterizzano i funzionamenti depressivi, sembrano originare da specifiche credenze, ovvero pensieri fortemente strutturati, tali per cui la persona si sente vittima di qualcosa che non può combattere o superare.

Queste credenze rigide, che possono essere considerate il fondamento di tutti i disturbi psicologici, nel caso della depressione, si rompono, vanno in frantumi e di fronte all’impossibilità di “ricostituirle” portano la persona a rinunciare.

I quattro funzionamenti depressivi alla base dell’intervento strategico

Nell’ambito dell’approccio strategico, sulla base di questi elementi comuni, sono stati individuati quattro funzionamenti depressivi, a partire dai quali sono state individuate specifiche modalità di intervento terapeutico, con l’obiettivo principale di guidare la persona a cambiare non solo i propri comportamenti ma anche le sue modalità di percezione e di attribuzione causale:

  1. Il depresso radicale, ovvero la persona vittima di sé stessa che rinuncia delegando agli altri in quanto sbagliata e incapace da sempre;
  2. L’illuso deluso di sé, che rinuncia arrendendosi perché pensava di essere capace e invece questa credenza si è rotta irrimediabilmente;
  3. L’illuso deluso dagli altri che rinuncia e diventa vittima degli altri che lo hanno deluso irrimediabilmente;
  4. Il moralista, che rinuncia pretendendo, in quanto vittima del mondo, mondo che non funziona secondo i suoi giusti principi.

Il Quid dell’intervento strategico nella depressione

Il lavoro strategico nella depressione, dunque, si focalizza non sul perché esiste la depressione, cosa l’ha generata, quanto piuttosto su come fare per risolverla. Il dialogo strategico (unitamente ad altre manovre terapeutiche ad hoc) rappresenta l’elemento elettivo di cambiamento terapeutico, con l’obiettivo di mobilitare, fin dalle prime sedute, risorse che erano rimaste bloccate o costruirne/aggiungerne di nuove.

Attraverso domande ad imbuto, parafrasi, ristrutturazioni ad hoc e linguaggio evocativo, si conduce la persona a “sentire” in modo diverso le cose, cercando di cortocircuitare quel sistema rigido e immobilizzato che mantiene e fa persistere il problema.

 

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Bibliografia di riferimento

Muriana, E., Pettenò, L. & Verbitz, T. (2006). I volti della depressione. Milano: Ponte alle Grazie

Nardone, G.& Salvini, A. (2004). Il dialogo strategico. Milano: Ponte alle Grazie

Nardone, G.& Watzlawick, P. (2019) (ristampa). L’arte del cambiamento. Milano: Tea

Yapko, M.D. (2002). Rompere gli schemi della depressione. Milano: Ponte alle Grazie

https://www.iss.it/-/depressione-per-il-9-degli-adulti-sale-nei-piu-vulnerabili