Il lutto è il processo di elaborazione legato alla perdita di qualuno o qualcosa di molto importante per ciascuno di noi.
Perché scrivo “qualcuno o qualcosa”?
Perché un lutto può innescarsi non solo a seguito della scomparsa di un familiare, di un amico o di un animale domestico a noi caro, ma anche per la fine di una relazione sentimentale significativa, per un licenziamento o per la diagnosi improvvisa di una grave malattia.
In questi casi, il lutto è metaforico ma le sensazioni che ne scaturiscono sono più che assimilabili a quelle di un fine vita vero e proprio. Hanno un forte impatto sulla qualità del nostro benessere, poiché si tratta di eventi che segnano il confine tra quello che avevamo e quello che non potremo avere più: il crollo di una certezza.
Dopo un lutto, però, perdiamo anche un pezzetto di noi stessi
Per quanto tutti sappiamo che la “fine” sia un qualcosa di naturale, l’idea che possa succedere proprio a noi ci sembra sempre assurda.
È ciò che avviene nella fase che la Kübler Ross (1990) descrisse come “negazione”, la prima delle famose cinque fasi di attraversamento ed elaborazione del lutto: quello che è successo non sembra vero, è come se ci dicessero che gli asini volano. E più insistono a dircelo, più ci arrabbiamo per quello che stiamo vivendo: la fase della Rabbia ci fa sentire in collera con tutto e tutti, anche con noi stessi.
Quando, poi, cominciamo a renderci conto di come stanno le cose, la fase di Contrattazione ci mette l’amaro in bocca, mentre la fase di Depressione ci fa abbracciare con pienezza il nostro dolore.
Quel qualcuno o qualcosa è perso, non possiamo farci nulla: l’Accettazione del lutto si completa quando riusciamo finalmente a pensare di poter andar avanti nonostante, tenendo vivo il ricordo di ciò che ci è stato donato.
Il lutto ci cambia
Come scrivevo più su, a perdersi è anche un pezzetto di noi. Dalla negazione all’accettazione ciò che si perde, e poi si recupera, è la stabilità nelle nostre reazioni emotive, comportamentali e cognitive.
È come se il nostro cervello e il nostro corpo subissero uno scossone e andassero temporaneamente in tilt: ci fanno soffrire mentre soffrono con noi.
Anche se i sintomi del lutto possono manifestarsi in modi e tempi diversi da persona a persona, in un primo momento, si possono constatare:
- profonda tristezza, malinconia, scoppi di ira, senso di vuoto e smarrimento;
- stanchezza cronica, sensazione di ottundimento, insonnia, dolori muscolari, mal di testa;
- l’assunzione di comportamenti insoliti, come la tendenza all’isolamento o, al contrario, la tendenza a uscire più frequentemente pur di avere qualcosa da fare e distrarsi;
- pensieri ricorrenti sulla persona scomparsa, sogni vividi, dubbi o crisi relative al proprio senso di sé.
Più avanti, invece, cervello e corpo sembrano riuscire a riprendersi pian piano.
L’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale aumenta, traducendosi in una maggiore sensazione di controllo, da parte nostra, di ciò che ci circonda, e in un migliore adattamento alle nuove circostanze.
Il turbamento emotivo si appiana gradualmente, permettendoci di riprendere in mano la nostra vita e di riorganizzare i nostri piani per il futuro, anche se in modo un po’ diverso.
I nostri ormoni, infine, tornano ad autoregolarsi: la serotonina sostiene il nostro umore e il cortisolo fluttua un po’ meno, facendoci riposare meglio e avvertire meno stress.
Tuttavia, anche se il lutto è un evento “normale” nelle nostre vite, non è detto che sia sempre facile accettarlo. Può accadere, infatti, che il dolore per una perdita si protragga per un bel po’ e che finisca per essere avvertito come una ferita che non si rimargina.
Come la Terapia a Seduta Singola (TSS) fa affrontare il lutto
Una ferita che continua a pulsare permette a tutta una serie di complicazioni di farsi avanti: l’ansia non manca mai, accompagnata da un senso di angoscia costante, dalla rabbia verso noi stessi, gli altri o il mondo in generale, da somatizzazioni di vario tipo, dall’uso o dall’abuso di sostanze… un vero e proprio calderone.
Pertanto, verrebbe da chiedersi: ma uno psicologo da dove può cominciare?
Può sembrare semplice o banale, ma comincia da ciò che vuole il paziente.
O meglio, da ciò che il paziente ritiene prioritario per la sua condizione attuale.
Nel caso in cui una persona si ponga più obiettivi terapeutici, infatti, la Terapia a Seduta Singola può rappresentare il primo passo per la riuscita di un intervento efficace ed efficiente.
Si tratta di una tecnica terapeutica altamente strutturata, pensata per focalizzarsi su una specifica problematica alla volta (Cannistrà e Piccirilli, 2018). Nasce dall’idea che anche un solo incontro può essere sufficiente ad aiutare qualcuno: il terapeuta porta il paziente a definire bene non solo il problema generale che lo affligge, ma anche l’obiettivo che vuole raggiungere in quel singolo incontro.
In conclusione…
Stando al lutto, la Terapia a Seduta Singola potrebbe essere l’occasione per fare chiarezza su come il paziente si sente, su quali sono i suoi bisogni principali (es. “voglio vincere l’ansia”, “voglio pensare al mio caro senza sentirmi male”) e sulla direzione che desidera intraprendere.
Il paziente, infatti, potrebbe voler essere accompagnato nel prendere una decisione importante, nell’imparare una strategia per affrontare le sue giornate, o potrebbe richiedere anche solo un compito per assegnare il giusto spazio al proprio lutto.
Scopo della seduta è che il paziente trovi da solo le proprie risposte e che le trasformi in un piano d’azione che gli sia davvero utile per il presente e per il futuro: il tutto, partendo sempre da quello che già sta facendo e che già sta funzionando.
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Riferimenti bibliografici
Bloom, B. L. (2001). Focused Single‐Session Psychotherapy: A Review of the Clinical and Research Literature. Brief Treatment and Crisis Intervention, 1(1), 75–86. https://doi.org/10.1093/brief-treatment/1.1.75
Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche
Kübler Ross, E. (1990). La morte e il morire. Padova: Cittadella Editore