“The client has the magic, and we’d better do something small and let the magic operate” (de Shazer, 1990, Learning Edge. AAMFT teaching tape) (trad. it.)
“Il cliente possiede la magia e noi faremmo meglio a fare qualcosa di piccolo e lasciare che la magia operi”
Questa citazione di Steve de Shazer introduce perfettamente il tema di questo articolo in cui esploriamo il ruolo del linguaggio all’interno di uno degli approcci di terapia breve più studiato al mondo: la Terapia Breve Centrata sulla Soluzione (de Shazer, 1985, 1988, 1990, 1991).
La Terapia Breve Centrata sulla Soluzione (TBCS) rappresenta un approccio rivoluzionario nel panorama della psicoterapia, o meglio delle psicoterapie, che enfatizza le risorse e le competenze del cliente piuttosto che i suoi problemi e le sue difficoltà (ovviamente, senza negarne l’esistenza).
Al centro dello sviluppo teorico e pratico di questo approccio terapeutico breve vi è l’uso che viene fatto del linguaggio, come strumento per co-costruire soluzioni e promuovere il cambiamento in tempi brevi ovvero nel tempo necessario.
Il lavoro pionieristico di Steve de Shazer e Insoo Kim Berg all’interno del Brief FamilyTherapy Center di Milwaukee, ha posto le basi concettuali e pratiche per comprendere il linguaggio non solo come strumento di comunicazione, ma come mezzo di trasformazione terapeutica, lasciando aperto il modello a successivi contributi e integrazioni che ne hanno rafforzato l’efficacia (si veda, a tal proposito, il lavoro portato avanti al BRIEF di Londra ad opera di Chris Iveson, Evan George e Harvey Ratner).
Un linguaggio che costruisce soluzioni
Una terapia basata sulla conversazione o meglio, su un mucchio di parole, come la definisce lo stesso de Shazer (1994).
Uno dei principi fondamentali della TBCS è che il linguaggio non descrive semplicemente la realtà: la costruisce (per approfondire il metodo costruttivo alla base della TBCS).
Secondo de Shazer (1991), le parole utilizzate in terapia modellano il modo in cui i clienti percepiscono sé stessi e le proprie possibilità. In questo senso, la conversazione terapeutica all’interno dell’approccio della TBCS, diventa un processo creativo, auto-riflessivo e generativo. Insoo Kim Berg ha ulteriormente sviluppato questo concetto, sottolineando come le conversazioni terapeutiche debbano essere orientate a costruire “una nuova storia” per il cliente, spostando l’accento dalle difficoltà alle risorse personali (Berg & de Shazer, 1993).
Un linguaggio “libero da problemi”
Il presupposto epistemologico e teorico che rende la TBCS una terapia basata principalmente sul potere della conversazione, lo fornisce il lavoro magistrale di Ludwig Wittgenstein, ripreso più volte dallo stesso de Shazer, per spiegare come ciascuna parola acquisti significato solo attraverso l’utilizzo che i partecipanti ne fanno all’interno della conversazione. Ciò significa che le parole assumono un significato diverso a seconda del contesto in cui vengono utilizzate e dalle regole condivise in quel contesto (Ratner, George & Iveson, 2012).
Questa premessa ci aiuta a capire come il terapeuta centrato sulla soluzione utilizzi il linguaggio per aiutare il cliente a cambiare le “regole” del suo gioco linguistico, passando da un linguaggio centrato sul problema (problem talk) ad un linguaggio centrato sulla soluzione (solution talk).
Sembrano evidenti ma non scontati i vantaggi di un linguaggio orientato alla soluzione rispetto ad un linguaggio orientato al problema: quest’ultimo è maggiormente focalizzato sull’individuare ciò che non funziona, piuttosto che le soluzioni al problema.
Al contrario, il terapeuta centrato sulla soluzione, utilizza il linguaggio per portare il cliente a sviluppare le sue soluzioni al problema: questo non significa che non si può parlare del problema, ma che il terapeuta deve essere in grado di individuare nelle risposte del cliente, quelle frasi, quegli indicatori linguistici che gli permettano di riportare il discorso sulle risorse e sulle soluzioni.
Strumenti linguistici chiave nella TBCS
Nel corso degli anni, la TBCS ha attraversato diverse fasi di sviluppo del modello, che hanno portato de Shazer e Berg ad identificare una serie di “strumenti linguistici” che corrispondono a dei passaggi chiave all’interno della struttura della TBCS, che hanno lo scopo di guidare il cambiamento e la trasformazione terapeutica:
- La domanda sulle migliori aspettative, la manovra di apertura del primo incontro attraverso la quale terapeuta e cliente definiscono la direzione generale (per approfondire).
- La domanda del miracolo (o l’alternativa tomorrow question, utilizzata al BRIEF), che consente a terapeuta e cliente di indagare cosa accadrà nella vita della persona, una volta che le migliori aspettative si saranno realizzate.
- Le scale del presente e progresso, utilizzate per consentire alla persona di auto-valutare il proprio stato attuale e immaginare concretamente i passi successivi verso la realizzazione del futuro desiderato (per approfondire l’utilizzo delle scale).
Un linguaggio che va oltre l’uso descrittivo: lo scopo delle domande nella TBCS
Una delle trappole concettuali più comuni è assumere che le domande servano alla comprensione o alla soddisfazione della curiosità del terapeuta. Come osserva Iveson (Ratner, George & Iveson, 2012), un certo tipo di curiosità potrebbe portare fuori strada: se il terapeuta cerca di capire, rischia di tornare ad un paradigma valutativo e diagnostico.
Le domande nell’approccio centrato sulla soluzione non sono per il terapeuta ma per il cliente. Il loro scopo non è acquisire conoscenza, ma stimolare nella persona un processo auto-riflessivo che possa servire ad aprire nuove possibilità (per approfondire).
L’obiettivo finale, dunque, è incoraggiare il cliente a diventare curioso di sé stesso e del proprio futuro.
Il linguaggio come generatore di risposte trasformative
Come raccontato da Chris Iveson, una cliente disse al termine di una sessione: “È grazie alle domande, vero?”. Quando Iveson rispose che forse erano le risposte ad aver fatto la differenza, lei replicò: “Lo so che sono state le risposte, ma sono state le domande a mettermele in testa!” (Cfr.https://www.brief.org.uk/resources/a-to-z-of-sf-practice-part-2/q-is-for-questions.html).
Questo episodio sottolinea un altro aspetto fondamentale: le risposte trasformative emergono grazie alle domande che i terapeuti brevi centrati sulla soluzione pongono con cura e intenzione.
Il linguaggio nella Terapia Breve Centrata sulla Soluzione non è solo un mezzo per trasmettere informazioni, ma una leva potente per la trasformazione personale. Attraverso domande focalizzate, riformulazioni e una narrazione orientata ad uno scenario senza il problema, terapeuta e cliente co- costruiscono nuove possibilità di azione e di pensiero.
Il lavoro pionieristico di Steve de Shazer e Insoo Kim Berg continua dunque ad offrire una solida cornice concettuale e pratica per l’utilizzo terapeutico del linguaggio, confermandosi un pilastro fondamentale della psicoterapia contemporanea.
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Bibliografia
Berg, I. K., & de Shazer, S. (1993). Making Numbers Talk: Language in Therapy. Originally published in S. Friedman (ed.), The New Language of Change: Constructive Collaboration in Psychotherapy (pp 5-24). New York: Guildford Press.
de Shazer, S. (1985). Keys to Solution in Brief Therapy. New York: Norton & Company
de Shazer, S. (1988). Clues: Investigating Solutions in Brief Therapy. New York: Norton & Company
de Shazer, S. (1991). Putting Difference to Work. New York: Norton & Company
de Shazer, S (1994). Words were Originally Magic. New York: Norton & Company
Ratner, H., George, E., & Iveson, C. (2012). Solution Focused Brief Therapy: 100 Key Points and
Techniques. Routledge.
Sitografia
https://www.brief.org.uk/resources/a-to-z-of-sf-practice-part-2/j-is-for-‘just-a-bunch-of-talk’.html
https://www.brief.org.uk/resources/a-to-z-of-sf-practice-part-2/q-is-for-questions.html