[Il caso clinico in questione NON è reale. Si tratta di un esempio che prende spunto da più situazioni modificate e rese irriconoscibili]

Aspetti e caratteristiche della timidezza

Al momento non esiste una definizione specifica di timidezza ma può essere intesa come tratto della personalità o del carattere; emozione sociale; modo di essere; stile relazionale; inibizione comportamentale; condizione sub-clinica descritta come forma lieve di fobia sociale. Viene inoltre indicata con sinonimi come reticenza, ansia sociale e introversione.

In linea generale la timidezza può essere considerata come esperienza soggettiva che causa nervosismo e preoccupazione durante le situazioni sociali. In alternativa, può essere intesa da un punto di vista comportamentale come inibizione o evitamento sociale.

Non rappresenta di per sé una forma patologica ma può arrivare ad essere molto invalidante per la vita della persona.

La timidezza è accompagnata dalla paura del giudizio negativo da parte degli altri e dal timore di essere rifiutati o non accettati. Per questo motivo i soggetti timidi passano molto del loro tempo a pensare a come possono essere visti e valutati dalle altre persone.

Nel tentativo di fare buona impressione, inoltre, cercano di ridurre le possibilità di critica e fallimento arrivando a utilizzare strategie disfunzionali di evitamento e inibizione relazionale.

Per di più, tali individui temono l’incontro con persone nuove o che detengono una certa autorità e hanno paura di approcciarsi con individui del sesso opposto.

La timidezza fa esperire al soggetto un senso di mancanza di fiducia e autostima nelle proprie capacità con conseguente autosvalutazione della persona.

Questi individui tendono ad avere una visione pessimistica della vita e di loro stessi, in aggiunta a livelli elevati di perfezionismo.

Per tali motivi i soggetti timidi tendono a dare la colpa a sé stessi in caso di fallimento e ad attribuire a cause esterne i successi conseguiti (Grimaldi P., 2008).

Difficoltà psicologiche e sociali nella timidezza: focus sul caso di Federico

Come già esplicitato nel paragrafo precedente, la timidezza porta con sé conseguenze di vario tipo a livello sia relazionale che sociale.

Rappresenta una problematica molto frequente durante la pubertà e l’adolescenza che può condurre ad insicurezza cronica nel giovane.

Ci si può trovare davanti a ragazzi che evitano discussioni e domande dirette durante una conversazione o, ancora, evitano di trovarsi al centro dell’attenzione durante situazioni pubbliche, quando ad esempio devono presentare progetti o leggere a voce alta di fronte ad una platea.

Ci sono inoltre timidi che si bloccano quando devono parlare della loro vita personale e che hanno paura degli sguardi della gente.

Il timore principale risiede nella possibilità che gli altri si rendano conto dei propri sintomi d’ansia come, ad esempio, l’evidente rossore del viso o tremore della voce. Tale paura porta il soggetto a porre eccessiva attenzione alle sue reazioni ansiose o alle conseguenze di queste sul comportamento degli altri. In questo modo si produce un circolo vizioso difficile da interrompere.

Come conseguenza di ciò, la persona sperimenta una sensazione di fallimento e umiliazione che conduce a sua volta ad ansia anticipatoria di fronte alle situazioni future temute accompagnata da sintomi come tachicardia, tremori e senso di soffocamento (Spatola C., 2015).

 

Il caso di Federico rappresenta un tipico esempio di adolescente che dichiara di sperimentare varie difficoltà per via della sua timidezza. Si è ritrovato a non uscire quasi più di casa principalmente a seguito di alcuni cambiamenti verificatesi nella sua vita. Tra questi si possono includere il passaggio dalle medie al liceo, il cambio squadra di calcio, composta da ragazzi più grandi di lui, e la fatica a vedere i suoi vecchi amici.

Il ragazzo evidenzia anche difficoltà nel partecipare alle attività previste dall’associazione studentesca, la cui partecipazione è fortemente richiesta dai compagni. Queste attività prevedono, per esempio, il parlare in pubblico durante le assemblee e il prendere contatto con i vari presidi. Per di più, dice di non conoscere bene gli altri membri dell’associazione e di considerarsi diverso in quanto “tipo tranquillo”.

Quelle poche volte in cui è obbligato a partecipare agli incontri o alle feste organizzate prova sensazioni fisiche negative quali il tremore della voce e delle gambe o la sudorazione delle mani. Gli capita a volte anche di balbettare. Per tali motivi, quando si ritrova in situazioni di questo genere non vede l’ora di andare via.

Il suo timore principale è di poter dire o fare cose stupide o considerate non interessanti dagli altri. Tutto ciò lo spinge a trovare scuse di qualunque genere per non partecipare alle attività sociali (Fiorenza A., 2008).

Cosa fare e non fare per risolvere il problema. Strategie di intervento utilizzate nel caso specifico

Gli individui che soffrono di timidezza e che sperimentano molteplici disagi e difficoltà nella vita di tutti i giorni, quali quelli indicati precedentemente, evidenziano una paura marcata del giudizio delle altre persone.

Uno dei meccanismi principali messi in atto per evitare situazioni che prevedono il possibile giudizio, valutazione o critica da parte degli altri consiste proprio nell’evitamento, il quale rientra tra le tentate soluzioni disfunzionali messe in atto dalla persona e che non fa altro che mantenere la problematica presentata.

 

Nel caso di Federico, infatti, si è evidenziato chiaramente come il ragazzo tenda ad attuare la strategia dell’evitamento a fronte di situazioni da lui temute.

Per tali motivi gli è stato chiesto, come prima cosa, di sottoporsi a piccole brutte figure con lo scopo di modificare il suo modo di pensare e per fargli capire che anche il fallimento rappresenta un aspetto della vita e non c’è nulla di catastrofico in esso.

Il provare a mettersi nella condizione di fare qualcosa piuttosto che evitare una determinata situazione per lui ansiogena e angosciante aiuta il ragazzo a ottenere risultati positivi e gli permette di non sentirsi più inadeguato.

Questa sorta di esposizione a possibili brutte figure o rifiuti è stato riproposto successivamente tramite un’altra prescrizione che prevedeva il dover avvicinarsi e chiedere di uscire ogni giorno a una ragazza diversa della sua scuola.

Sia il compito precedente che quest’ultimo sono risultati entrambi estremamente positivi per il ragazzo, il quale ha potuto sperimentare il lato divertente del fare brutte figure. Nel caso della prescrizione sulle ragazze, inoltre, ha potuto osservare che il semplice lasciarsi andare alla conversazione senza essere travolto da pensieri negativi e preoccupazioni può condurre a effetti positivi. Nel caso specifico, infatti, Federico ha sperimentato un successo personale in quanto non rifiutato da nessuna delle ragazze che ha avvicinato.

Durante la terza seduta il giovane esprime la sua motivazione e voglia di partecipare a una festa organizzata dall’associazione studentesca da lui tanto temuta. In quel caso viene chiesto a Federico cosa gli sarebbe piaciuto fare a quella festa e di indicare una scaletta delle cose più o meno difficili per lui da affrontare.

Gli è stato successivamente chiesto di mettere in pratica, nei giorni a seguire, proprio una delle piccole azioni da lui indicate come fonte di timore ma affrontandola con il pensiero di essere un ragazzo simpatico ed estroverso.

Anche in questo caso la prescrizione ha sortito effetti positivi tanto che il giovane contatterà successivamente lo psicologo per chiedergli di rimandare l’appuntamento, previsto prima della famosa festa, direttamente a dopo quest’ultima dal momento che quel giorno sarebbe dovuto andare a comprare cibo e bevande per la serata suddetta.

In questo caso Federico si è mostrato molto aperto, entusiasta e propositivo nell’affrontare le prescrizioni suggerite (Fiorenza A., 2008).

In altri casi però, in particolare a fronte di soggetti con paure marcate, si può chiedere alla persona di utilizzare un approccio più graduale, affrontando per prime le situazioni meno ansiogene e passando solo in seguito a situazioni con difficoltà crescente (Spatola C, 2015).

Conclusione

La timidezza costituisce una modalità relazionale e sociale che conduce ad una insicurezza evidente nella persona interessata. Può scaturire in adolescenza o anche durante l’infanzia ma, se affrontata nel modo adeguato, può essere superata con il tempo. Ci sono infatti casi di bambini e ragazzi timidi che con il giusto lavoro riescono a superare le proprie difficoltà giungendo all’età adulta senza tali problematiche e mostrandosi in grado di relazionarsi con gli altri e con il mondo sociale in modo sicuro. Tale evoluzione è infatti chiaramente evidente anche nel caso riportato di Federico.

 

Scarica gratis l'ebook sulle Terapie Brevi

 

Riferimenti bibliografici

Grimaldi P. (2008). A quale timidezza appartieni? Comprendere e prevenire le varie forme di ansia sociale. Milano. Franco Angeli/Le Comete.

Fiorenza A. (2008). Quando l’amore non basta. Storie terapeutiche a lieto fine di genitori che amano troppo e figli difficili. Rizzoli

https://familylife.tgcom24.it/2015/08/03/timidezza-come-affrontarla/ (consultato in data 15/12/22)

http://educazioneemotiva.it/articoli/adolescenti-timidi_108.htm (consultato in data 15/12/22)