Il lavoro terapeutico con bambini e adolescenti rappresenta una sfida per molti psicologi poiché, com’è noto, rappresentano fasi evolutive estremamente significative per la vita di ogni individuo.

Tanto l’infanzia quanto l’adolescenza, infatti, si configurano come un’età ricca di contraddizioni, un’età di transizione in cui si è impegnati a costruire, prima, e consolidare, poi, l’immagine di sé stessi in una rinnovata identità che integri i cambiamenti evolutivi.

In un’ottica costruttivista e strategica, comportamenti problematici, in età evolutiva, non sono giudicati come una categoria sostanzialmente diversa da quella dei comportamenti “normali”, né come il frutto deterministico di negative influenze ambientali inevitabili o di situazioni passate. Essi sono, al contrario, delle azioni che hanno un senso, vale a dire che svolgono delle funzioni precise nel processo di adattamento tra individuo e ambiente, in relazione sia ai compiti di sviluppo dell’adolescenza che alle diverse opportunità e richieste dei vari contesti di sviluppo.

Le problematiche dell’età evolutiva in un’ottica sistemico-strategica

Il termine “terapia strategica” si deve a J. Haley: “Si parla di terapia strategica quando il terapeuta mantiene l’iniziativa su tutto quello che si verifica nel corso della terapia ed elabora una tecnica particolare per ogni singolo problema” (Haley, 1973: 1).

Nel modo in cui Erickson lavorava era implicita l’idea che qualunque problema abbia una natura interpersonale: i modi in cui il paziente agisce con gli altri e questi agiscono con lui, producono il suo senso di difficoltà e le sue limitate modalità di comportamento. Provando a traslare tale concezione specificatamente sui comportamenti disfunzionale che potrebbero portare bambini e/o adolescenti in terapia, ci si rende facilmente conto come tali manifestazioni sintomatiche siano fortemente connotate da componenti di natura relazionale che rendono la problematica del singolo la problematica di un sistema.

Risolvere un problema della persona significa modificare le sue relazioni con gli altri e, in età evolutiva, all’interno della famiglia. Il cambiamento terapeutico non si produce come risultato di una maggiore consapevolezza (insight) delle “cause” del problema, della relazione tra il passato e il presente ma attraverso la sperimentazione di nuove strategie.

L’intervento breve sistemico-strategico in età evolutiva

I modelli di terapia breve sistemico-strategici si focalizzano sulle interazioni presenti tra i membri della famiglia e sulle loro storie attorno al problema, tralasciando le considerazioni sulla struttura familiare. Ecco perché lavorare con un bambino o con un adolescente in termini clinici non può prescindere dal coinvolgimento dei sistemi significativi e di riferimento del minore. Parliamo nella maggior parte dei casi del sistema famiglia ma anche in molti altri del contesto scolastico, del gruppo dei pari ecc.

Il lavoro terapeutico con bambini e adolescenti spesso appare difficile e complesso poiché si sceglie di considerare un solo punto di vista: quello del minore. Estendere il raggio d’azione terapeutico sull’intero sistema familiare, aiuta il terapeuta ad osservare il problema da varie angolature ma anche di individuare in minor tempo strategie risolutive che, nella maggior parte dei casi, possono far leva sui membri del sistema di appartenenza intesi come risorsa preziosa per il conseguimento degli obiettivi terapeutici.

Nello specifico, crediamo fermamente che il terapeuta che intende approcciarsi a problematiche di natura evolutiva attraverso una lente sistemico-strategica dovrà:

  1. Evitare l’uso di etichette;
  2. Aspettarsi che il cliente abbia la forza e le risorse per cambiare;
  3. Considerare la terapia come un rapporto di cooperazione all’interno del quale i clienti fissano gli obiettivi del trattamento;
  4. Dare agli adolescenti lo spazio di una seduta individuale per valutare i propri bisogni, obiettivi e aspettative;
  5. Coinvolgere attivamente collaboratori appartenenti a sistemi più ampi (ad esempio la scuola oppure il gruppo dei pari);
  6. Adeguare gli esperimenti terapeutici e gli interventi alla specifica fase del processo di cambiamento in cui ogni membro della famiglia si trova.

Domande in chiave sistemico-strategica per problemi dell’età evolutiva

Esistono svariate tipologie e categorie di domande che possono rivelarsi estremamente utili nel lavoro con bambini/adolescenti e con le loro famiglie. Di seguito ne riportiamo qualcuna:

  • Pretreatment change questions: sono domande chemirano ad individuare eventuali miglioramenti del problema avvenuti nell’intervallo tra la prima telefonata per l’appuntamento e la prima sessione di terapia. Un esempio è: “Ha notato che cosa è migliorato da quando ha telefonato?”. Queste domande possono indurre l’idea che qualcosa di positivo sia già avvenuto e possono generare una positiva profezia che si autoavvera. Quando si lavora con minori e con le rispettive famiglie risulta di grande utilità porre tali domande ad entrambi.
  • Solution building questions orientano sul reperimento di eccezioni intese come modelli utili di comportamento, credenze, sentimenti che hanno aiutato il cliente a contrastare in qualche circostanza il problema. Un esempio può essere: “Mi ha dato un quadro abbastanza buono del problema ma, per avere un quadro più completo riguardo quello che bisogna fare, ho bisogno di sapere: quando non accade il problema, cosa accade invece?”. Qualora un bambino o un adolescente faccia fatica a rispondere, il terapeuta deve essere bravo ad aiutare il minore in questione a narrare ciò che accade quando il problema non si verifica, valorizzando la positività di quel momento.
  • Scaling questions sono utili per assicurare una misurazione quantitativa del problema della famiglia al momento e del livello al quale vorrebbero trovarsi la settimana successiva. Una volta che la famiglia ha identificato la situazione del problema su una scala da 1 a 10 (essendo 10 la situazione migliore), il terapeuta negozia con i genitori e l’adolescente cosa dovranno fare nella settimana successiva per ottenere un punto in più sulla scala. Quindi, tramite queste domande, si possono stabilire mete iniziali e realistiche per la terapia. Nel caso in cui l’adolescente e i genitori non siano d’accordo sulla meta di trattamento reciproca, bisogna stabilire mete separate e diversi progetti di lavoro. Le scaling questions possono essere usate anche per ottenere la cooperazione dell’adolescente: egli potrà scalare un comportamento fastidioso dei genitori nei suoi confronti e negoziare sui comportamenti che potrebbero far ottenere un punto in più sulla scala.

 

Simonetta Bonadies

Psicologa, Psicoterapeuta Team dell’Italian Center for Single Session Therapy

 

Bibliografia

  • Horigian, V. Robbins, M. Szapocznik (2004). Terapia breve strategica familiare. Rivista Europea di Terapia Breve Strategica e Sistemica n. 1
  • Rizzi, A., Verrastro, V. (2014) Evolving solution-oriented Brief Family Therapy Approach with dufficult adolescents. QUALEpsicologia, 2014, 2.
  • Scarlaccini F., Cannistrà F., De Ros T. Aiutami a diventare grande. Guida strategica per i problemi di comportamento di bambini e ragazzi. EPC Editore, 2017.

 

 

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