Abbuffarsi, vomitare, torturarsi

Negli ultimi anni si è osservato un aumento significativo dei casi di Sindrome da Vomito o Vomiting, rispetto ai disturbi alimentari classificati come anoressia (astensione dal cibo per perdere peso) e bulimia (abbuffarsi e aumentare di peso), con o senza condotte eliminatorie, che ne costituiscono la matrice d’origine.

Le ragazze con tendenze bulimiche o anoressiche, infatti, scoprono che vomitare consente loro di tenere sotto controllo il peso pur continuando a nutrirsi, senza dover rinunciare al piacere del cibo. Infatti, il vomiting consente loro di agire indisturbate, perché riescono a mantenersi intorno al loro peso forma senza evidenti cali o aumenti di peso che potrebbero allarmare familiari e conoscenti.

Tuttavia, quando il circolo abbuffata-vomito viene protratto nel tempo, si trasforma in un piacevole rituale di cui non si può fare più a meno.

Ci si abbuffa intenzionalmente per poi vomitare e una volta che la sindrome da vomiting si è instaurata, il problema non è più quello di tenere sotto controllo il cibo, ma la compulsione al piacere e la ricerca dell’incontro con “l’amante segreto”.

Così facendo, la condotta del vomito perde via via ogni legame con il disturbo che ne ha causato l’insorgenza.

Diverse ricerche hanno messo in luce il fatto che circa il 70% di casi di vomiting presenta anche compulsioni e condotte autolesive (self-harming compulsion).

Nella maggior parte dei casi emerge prima il disturbo alimentare e a seguire i comportamenti autolesivi. Entrambi rappresentano atti compensatori e autoregolatori che, col passare del tempo, si trasformano in compulsioni irrefrenabili per poi diventare o un vero e proprio rito di piacere e di ricerca di sensazioni o un sedativo nei confronti del dolore.

Il dialogo strategico

Pascal sosteneva che chi si persuade da solo lo fa prima e meglio.

La tecnica del dialogo strategico (Nardone & Salvini, 2004) rappresenta un prezioso strumento di co-creazione del cambiamento terapeutico.

Modulando il proprio stile comunicativo sul cliente, sulle sue caratteristiche e sulla sua storia, e ponendo in modo particolare domande strategiche in una sequenza a spirale, seguite dalla puntualizzazione delle risposte tramite parafrasi e ristrutturazioni, il terapeuta induce il cliente ad assumere una prospettiva diversa rispetto al problema.

Le domande che caratterizzano il dialogo strategico si dividono in:

  • domande strategiche discriminanti, utilizzate all’inizio della valutazione per discriminare il percorso terapeutico da seguire;
  • domande strategicamente orientate, usate con l’obiettivo di indagare delle aree di interesse clinico;
  • domande ad illusione di alternativa di risposta, indagate con l’obiettivo di indirizzare la risposta offrendo due alternative di risposta. Sono focalizzate sul funzionamento del problema, sui tentativi fallimentari di gestirlo e sui possibili esiti.

Nella conduzione del dialogo strategico c’è un continuo adattamento al feedback del cliente e si utilizza in modo combinato un linguaggio logico ed analogico e modalità evocative. In questo modo il cliente viene stimolato a sentire in modo diverso il problema e le proprie reazioni, a superare le proprie resistenze e a stringere con il terapeuta una buona alleanza terapeutica.

Grazie a questa tecnica il cliente scopre come funziona il suo problema e come risolverlo, sulla base delle risposte che lui stesso dà alle domande del terapeuta, su una spirale di accordi e di scoperte congiunte che orientano la terapia.

In questo modo, la prima seduta è da considerarsi non solo diagnostica ma anche terapeutica.

L’applicazione del dialogo strategico nella prima seduta

La tecnica del dialogo strategico viene utilizzata nel vomiting conducendo il colloquio in modo specifico e seguendo una struttura ad imbuto, che orienta le domande, le parafrasi, le ristrutturazioni fino ad arrivare alle indicazioni terapeutiche.

Data la natura della problematica, dapprima le domande strategiche discriminanti andranno ad indagare se la cliente è qui per sua scelta o se è stata forzata da qualche familiare o altro.

Il focus sarà quindi sul funzionamento della problematica, anche grazie alle domande strategicamente orientate: come e quando (ogni quanto, ai pasti o fuori) avviene l’abbuffata e il vomito, se è qualcosa che è programmato deliberatamente e in tutti i dettagli oppure se segue una perdita di controllo, se è un rito punitivo o piacevole.

A seguire attraverso un linguaggio suggestivo e persuasivo delle parafrasi ristrutturanti, della ripetizione della sequenza di risposte riorganizzata dal terapeuta ( “se non ho capito male/correggimi se sbaglio”), delle immagini evocative si andrà a verificare di aver compreso le risposte della cliente e l’adeguatezza della direzione intrapresa dal dialogo condotto, alla ricerca di un accordo sulla definizione del problema.

Se il cliente conferma quanto riassunto ed evocato dal terapeuta, si sarà stabilito un importante contatto terapeutico e il cliente sentirà di essere compreso.

Si procede nell’indagine esplorando se il disordine alimentare è l’unica compulsione irrefrenabile della cliente o se ne vengono messe in atto delle altre (come compulsioni autolesive e torture piacevoli o anestetizzanti), analizzandone eventualmente la struttura, il funzionamento e il ruolo esercitato dal sintomo.

Si arriva quindi alle domande ad illusione di alternativa, che servono ad accordare con il cliente la sua attiva partecipazione al processo di cambiamento volto a raggiungere l’obiettivo dell’estinzione del disturbo. Si tratta di domande che inducono le risposte e fanno scoprire al cliente come il ruolo del disturbo finisca per alimentare il problema piuttosto che ridurlo, iniziando a creare una sensazione di avversione verso ciò che fino a quel momento era ritenuto utile.

A queste possono essere accostate domande sorprendenti (come la Miracle question), domande congetturali, domande misurabili (anche attraverso utilizzo delle scale), domande di coping (come hai impedito che la situazione peggiorasse?) che aiutano il terapeuta e il cliente a formulare bene gli obiettivi terapeutici e forniscono orientamento al trattamento.

Si ricorre anche a domande aperte per indagare la situazione di vita del cliente e le sue normali attività quotidiane, il funzionamento relazionale e sociale.

Le tentate soluzioni

Si indagano poi tutti quei tentativi fallimentari di risolvere il problema, provando a ricercare anche quelle che sono le eccezioni positive.

Prima di passare dalla fase esplorativa a quella di intervento, è necessario riassumere tutto quello che si è ottenuto attraverso una iper-parafrasi. Utilizzando un linguaggio logico e analogico, si riassumono e ripropongono i contenuti del colloquio e le scoperte congiunte.

Si rimarca, attraverso la ridondanza, il funzionamento del problema emerso in seduta e le immagini evocative utilizzate volte a provocare reazioni avverse verso i comportamenti disfunzionali.

Grazie a questa tecnica, al contatto emotivo e relazionale che crea, il cliente è portato già dalla prima seduta a vedere il problema da una prospettiva differente, è condotto con scoperte congiunte a sentire la necessità di intervenire per estinguerlo. Si è quindi creata l’inevitabile necessità al cambiamento e si arriva a quello che è l’accordo terapeutico con i relativi obiettivi da raggiungere.

Il terreno è pronto per la conclusione. Il terapeuta può procedere con le indicazioni terapeutiche, ovvero le prescrizioni.

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Bibliografia

Nardone, G., Selekman M.D (2011) Uscire dalla trappola. Abbuffarsi vomitare torturarsi: la terapia in tempi brevi. Ponte alle Grazie

Nardone, G., Verbitz, T., & Milanese, R.,(1999). Le prigioni del cibo. Ponte alle Grazie

Sitografia

https://www.centroditerapiastrategica.com/vomiting-syndrome/ consultato in data 22/01