Innanzitutto, rendendosi conto che ciò è possibile.

Basterebbe allora leggere una sufficiente quantità di ricerche che ci dicono che è possibile? Per molti di noi no. Se ne avessimo le competenze potremmo mettere in discussione i risultati delle ricerche (e, ahimé, ciò viene fatto anche non avendone le competenze).

Poi, o più probabilmente prima, passeremmo a criticare il concetto di “aiutare” la persona: diremmo probabilmente che le abbiamo dato supporto, che l’abbiamo al massimo sospinta, o che era giunta da noi già considerevolmente “aiutata” da se stessa (o da qualcos’altro) e che quindi la nostra seduta non ha fatto un granché. Ne faremmo quindi una questione linguistica a salvaguardia di una (personale) questione ontologica: “Non si può aiutare una persona in una sola seduta”.

E avremmo probabilmente ragione.

Questo perché la nostra “ragione” farebbe riferimento a una concezione di una realtà oggettiva in cui “aiutare una persona in una sola seduta” semplicemente non è possibile, o è possibile solo per accezioni molto ridotte e insoddisfacenti (per il terapeuta, quantomeno) di “aiutare”.

O, in altri termini, la “nostra ragione” farebbe riferimento a una costruzione soggettiva in cui, semplicemente, quella possibilità (aiutare la persona in una sola seduta) è in qualche modo esclusa.

Tuttavia, proprio quelle ricerche a cui abbiamo accennato ci mostrerebbero anche che le persone in una seduta spesso non “risolvono il problema”, ma innescano circuiti virtuosi che le portano a risolverli senza la psicoterapia stessa (sui possibili obiettivi o esiti di una seduta si veda Cannistrà, 2018).

Ecco come funziona il mindset in Terapia a Seduta Singola

O, meglio, ecco come il mindset non fa funzionare la Terapia a Seduta Singola.

O, meglio ancora, ecco come “l’insieme organizzato di modi in cui pensiamo e agiamo la terapia” (Cannistrà, in pubblicazione) non rende possibile aiutare una persona in una sola seduta con lo psicoterapeuta.

E se invece pensassimo che è possibile?

Attualmente i nostri workshop di TSS iniziano con questi due momenti:

Momento 1

Raccontiamo ai partecipanti questa storia: “Un giorno Moshe Talmon, che aveva appena scoperto che molte persone si presentano per un singolo incontro perché lo ritengono sufficiente, stava passeggiando per un viale di montagna assieme al collega Robert Rosenbaum, che di lì a poco sarebbe diventato il secondo membro del gruppo di studi originale sulla TSS (a cui si sarebbe infine unito Michael F. Hoyt). Rosenbaum, sentendo l’esposizione della scoperta di Talmon, affermò: “Non è possibile. In un incontro puoi certamente ottenere una qualche sorta di insight, ma non un cambiamento che possa essere evidente, significativo e duraturo”. In quel preciso momento, girato l’angolo di un sentiero, i due si trovarono di fronte a questo scenario: laddove fino al giorno prima c’era stata la facciata ovest della montagna, una frana nel corso della notte ne aveva radicalmente cambiato l’aspetto, in un modo evidente, significativo e che sarebbe ‘durato’ per un lungo tempo a venire. Vedendo d’improvviso questo scenario, Rosenbaum affermò: ‘Ok, accetto: entro a far parte del progetto’.”

(Nota: anni dopo aver letto questa storia mi imbattei nuovamente in essa e scoprii che era leggermente diversa da come la ricordavo. Rosenbaum era da solo, in quel momento, senza Talmon, e alcuni irrilevanti dettagli sono diversi. Tuttavia, proprio Rosenbaum mi confermò di persona che questo fu l’evento che lo convinse a mettere in discussione il suo scetticismo e ad entrare nel gruppo di ricerca. La storia originale è narrata in Talmon, 1990).

Momento 2

Riproponendo quanto appreso nella mia formazione presso il Bouverie Center di Melbourne, chiediamo ai partecipanti di chiudere gli occhi e, in un leggero stato di trance, immaginare una loro tipica prima seduta con un paziente.

Chiediamo loro di immaginare come lo accolgono, cosa gli chiedono nei primi minuti, che obiettivo hanno in testa, cosa vogliono indagare durante il cuore della seduta, che genere di domande gli faranno, come la concluderanno ecc.

Poi, dopo averli fatti “svegliare” e averli invitati a prendere qualche appunto al riguardo, chiediamo loro di tornare in quella leggera trance e di immaginare questa situazione: il cliente li chiama il giorno prima dell’appuntamento dicendo che, per ragioni personali, non potrà fare altre sedute all’infuori della prima, che però ha davvero desiderio di fare.

Così li invitiamo a immaginare quella prima e unica seduta: di immaginare come lo accolgono, cosa gli chiedono nei primi minuti, che obiettivo hanno in testa, cosa vogliono indagare durante il cuore della seduta, che genere di domande gli faranno, come la concluderanno ecc.

Il modo in cui approcciamo a una seduta, a una psicoterapia, a come funzionano le persone, a come funziona il cambiamento, determinerà il modo in cui quel cambiamento avverrà (o non avverrà), a come risponderà la persona di fronte a noi, ai risultati prodotti dalla psicoterapia, nonché a quelli possibili in una seduta

Siamo ben lungi dal voler affermare che “se pensi che è possibile allora sarà così” – e riteniamo persino superfluo doverlo ribadire.

La domanda (e le domande orientano il mindset) dovrebbe suonare piuttosto così: “Cosa potrebbe essere possibile in questa seduta?”.

Con la differenza che la risposta, probabilmente, non dovremmo darla noi: dovrebbe darla il cliente. Il condizionale è d’obbligo, perché ci sono sicuramente delle risposte, dei limiti, che dobbiamo avanzare noi (Young, 2018a, p. 182, ci ricorda che nell’impostazione della seduta singola dev’esserci attenzione per la valutazione di situazioni di rischio).

E anche perché lo stesso cliente potrebbe essere ignaro di cosa è possibile, e cosa no, in quell’incontro (ancora Young, 2018b, p. 44, afferma che non è possibile sapere se una seduta sarà l’unica necessaria prima che sia terminata. Noi ci sentiamo di aggiungere che, idealmente, non saprai mai se è l’unica necessaria – e, ragionevolmente, non lo saprai prima di qualche settimana).

Da psicologi amiamo spesso parlare della “profezia che si autorealizza”, sintetizzabile così: il fatto di credere che qualcosa avverrà aumenta le possibilità che ciò avvenga. Non c’è alcuna ragione per non includere, in quel “qualcosa”, la voce “durata della psicoterapia”.

Quindi, potremmo ben dire che “il fatto di credere che la durata della psicoterapia non possa limitarsi a una seduta aumenta le possibilità che ciò avvenga” (per una rassegna sulla profezia che si autorealizza si veda Lo Presti, 2018, La profezia che si autorealizza. Il potere delle aspettative di creare la realtà).

La Terapia a Seduta Singola non è la panacea di tutti i mali

Né ha mai avuto la pretesa di aiutare ogni persona a eliminare qualunque sintomo, o etichettamento diagnostico, o stato di sofferenza, o qualsivoglia altra condizione in quei 45-60 minuti di talking cure.

Ha semplicemente, da un lato, mostrato dei modi per far sì che sia quantomeno possibile innescare quei circuiti virtuosi che riducono la necessità del terapeuta a quell’unico incontro; e, dall’altro, ha aperto la mente a tutti noi – terapeuti e pazienti – verso questa possibilità.

Detto in altri termini, ha cambiato il nostro mindset.

O quello di alcuni di noi.

 

Dr Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Co-Founder dell’Italian Center for Single Session Therapy
Co-Direttore dell’Istituto ICNOS

 

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Bibliografia

Cannistrà, F. (2018). Introduzione. In M.F. Hoyt & M. Talmon, Capturing the moment. CISU.

Cannistrà, F. (in pubblicazione). Single-Session Mindset. International Journal of Brief Therapy and Family Science.

Lo Presti, D. (2018). La profezia che si autorealizza. Flaccovio.

Talmon, M. (1990). Single Session Therapy. Jossey-Bass (Tr. it. Psicoterapia a seduta singola. Einaudi, 1996).

Young, J. (2018a). Terapia a seduta singola in pratica: concetti, training, integrazioni. In F. Cannistrà & F. Piccirilli, Terapia a seduta singola. Principi e pratiche (pp. 171-188). Giunti.

Young, J. (2018b). Single-Session Therapy: The Misunderstood Gift That Keeps On Giving. In M.F. Hoyt, M. Bobele, A. Slive, J. Young & M. Talmon, Single-Session Therapy by Walk-In or Appointment (pp. 40-58). Routledge