(Il caso clinico in questione NON è reale. Si tratta di un esempio che prende spunto da più situazioni modificate e rese irriconoscibili)

 

APERTURA E INTRODUZIONE ALLA TSS  

Stella 35 anni, lavora per una ditta che si occupa di vendite e marketing telefonico, lavora da casa con una postazione adibita ad hoc nella sua abitazione, convive con il compagno da circa 10 anni e ha un figlio Francesco di 4 anni e mezzo.

Mi contatta perché ha letto che utilizzo la terapia a seduta singola, ci tiene a dirmi al telefono che è uscita da pochi mesi da una terapia durata anni, dove ha lavorato su tutte le sue “inquietanti” dinamiche familiari.

Stella prende appuntamento in presenza e dice che non vede l’ora di fare questo incontro, perché può uscire per un po’ dalle mura di casa.

Arrivata a studio si siede con gesti molto lenti e con una voce bassa e monotono, ha un’espressione corrucciata e esterna subito la sua perplessità sulle terapie “tante chiacchiere, poche risposte e tanto denaro speso per ritrovarsi ancora così” mi dice “non è cambiato nulla”.

Racconto a Stella che lavoreremo con questo incontro sfruttando il nostro spazio a disposizione come se fosse un unico incontro.

Le specifico che solo alla fine della seduta lei mi dirà se è stato soddisfacente e sufficiente per lei, oppure come di prassi io lascerò la mia porta aperta per un incontro successivo.

Stella sembra adesso un po’ scettica e appare anche un po’ stanca, affaticata anche fisicamente.

Lo noto da come si accomoda sulla poltrona, si siede lenta, poi si muove di scatto, si alza di nuovo, si siede e poi sposta le gambe, le posiziona e le riposiziona cento volte.

La cosa che mi colpisce è che è come se si sentisse di passaggio nel mio studio e nonostante la stanza sia decisamente calda, non si spoglia del tutto, non toglie la lunga sciarpa che la avvolge.

 

DEFINIZIONE DEL PROBLEMA E DEFINIZIONE DELL’OBIETTIVO SU CUI LAVORARE IN SEDUTA

Chiedo a Stella di parlarmi del problema che la porta qui da me.

Mi racconta che sono dieci anni che l’insonnia la perseguita e che non riesce ad avere un sonno completo e soddisfacente da tanto.

L’insonnia riguarda la fase intermedia del sonno.

Lei non ha difficoltà ad addormentarsi perché mi dice che addormentarsi è un sollievo, perché il sonno la tira fuori dalla sua grigia e pesante realtà dove tutto è dovere e controllo e responsabilità. Aggiunge che il lavoro è stressante e cupo e anche la realtà familiare le sta veramente stretta e che la sua vita è fatta di “troppe battaglie continue”.

Mi faccio descrivere la routine serale che consiste sempre in una cena con il bimbo, la fase di addormentamento del bimbo e il desiderio di sprofondare nel buio ovunque si trovi, sia nel letto a castello con lui, che nel matrimoniale dove il bimbo spesso si addormenta.

Il sonno è ingestibile nella fase intermedia, continui i risvegli che possono durare anche ore e la fanno divagare sui pensieri lavorativi e familiari.

Poi Stella aggiunge che da qualche mese non sa dire se tre o quattro precisamente, il suo sonno può dirsi migliorato, cioè, ha in media un solo risveglio anche se lungo. Dice che complessivamente il sonno dura 6-7 ore.

La mattina quando si sveglia è stanca, deconcentrata, appesantita, spenta, con basso rendimento lavorativo, senza energia.

Quando si sveglia durante la notte vede la tv, fa cose in casa cercando di non svegliare nessuno, né il suo compagno né il bimbo oppure si mette al computer ad archiviare mail e a finire il lavoro che durante il giorno stenta ad esaurire.

Le chiedo se questi risvegli avvengono sempre o ci sono posti in cui questa cosa non è accaduta.

e lei mi dice che a pensarci bene non cambia molto se sta nella casa cittadina o del mare, ma che in vacanza durante le poche vacanze che fa, per esempio in albergo oppure all’estero o comunque in contesti non familiari, il sonno è continuativo e sereno e lei è “un’altra donna”, si definisce così.

Nella vita di tutti i giorni Stella mi racconta che ha una routine sempre cadenzata da impegni con il bimbo e lavoro e che in genere svolge tutto da sola perché suo marito rappresentante capo aerea commerciale lavora tantissimo, fa molte trasferte e delega completamente la gestione del figlio e della casa.

Chiedo a Stella cosa ha fatto sinora per combattere l’insonnia, questa acerrima “nemica”.

Mi risponde con un tono rinunciatario e afflitto che per fronteggiare la situazione non ha sentito pareri di medici, ha fatto poche ricerche in internet e si è affidata solo in rare occasioni a dei farmaci e a dei rimedi naturali una benzodiazepina presa in autonomia e farmaci da banco, ha chiesto a tutti quelli che conosce   di consigliarle qualcosa.

Mi racconta tirandosi su sulla sedia felice di raccontarlo, che per un periodo ha preso una tisana naturale consigliatale dal padre e che questa aveva sconfitto la sua insonnia, ma che poi la ha dovuta abbandonare per dei problemi fisici che le hanno impedito di proseguire.

Quella tisana “faceva il miracolo” ed il sonno non era più ad intermittenza ma continuo e assolutamente ristoratore: l’aspetto fisico, i tratti del viso, l’umore, le energie e il rendimento sul lavoro erano migliorati, con la sospensione il beneficio era scomparso e tutto tornato come prima.

E quindi di nuovo priva di forze, priva di iniziativa “il pomeriggio mi trascino e vado avanti per inerzia”. A questo punto del racconto a Stella si bagnano gli occhi di lacrime e scoppia in un pianto, un pianto senza fine. La consolo e la faccio calmare.

La sua narrazione cambia ed è come se si volesse liberare mi racconta che si sente come abbandonata, con un peso incredibile, mi dice “sento un macigno sul petto” perché nessuno la aiuta, nessuno la sorregge, tutto è sempre difficile, tutto è complesso, si sente a pezzi e vive solo per amore del bimbo.

Non riesce a delegare e anche per questo il bimbo non riesce facilmente a staccarsi da lei.

Lui è sempre concentrato sulla sua mamma e lei non ha spazi per sé, per dedicarsi alle sue cose, mi dice “io non faccio mai nulla per me”.

 

PRIORIZZAZIONE DEL PROBLEMA

A questo punto chiedo a Stella di dirmi se vogliamo lavorare ancora sulla insonnia o lavorare su altro.

Stella sembra un po’ liberata dopo lo sfogo, ha voglia di raccontare a ruota libera altre cose, mi dice che sente che la cosa più importante per lei, in questo momento, è riprendersi alcuni pezzi della sua vita e tornare ad avere del tempo per sé.

“Vorrei essere felice di nuovo”, le chiedo cosa intende per tornare ad essere felice di nuovo e lei mi dice che per lei la felicità potrebbe già essere non avere sempre questa stanchezza, sorridere, fare qualcosa per lei come quando aveva iniziato a convivere piena di sogni e speranze.

Le chiedo di rappresentarsi in un grafico o, meglio, di attribuire dei punteggi ai principali aspetti della vita come se dovesse disegnare delle fette di una torta.

Francesco occupa i suoi pensieri e tutti i tempi residuali è più dei ¾ della torta, non riesce invece a proiettarsi nel ruolo di compagna di vita, nella coppia, nella vita relazionale e sessuale con un punteggio. Le manca completamente il divertimento, non coltiva passioni, non ride mai.

Stella si vede mamma sempre e lavoratrice con un carico di insoddisfazione, in un ambiente peraltro ostile, non stimolante, competitivo, e non ha spazio per socializzare, le relazioni sono inesistenti.

Mi racconta che ha avuto frequenti attacchi di panico, fronteggiati senza ricorrere a farmaci, ma molto invalidanti perché le hanno scatenato una grande paura.

Le faccio i miei complimenti perché nonostante tutto si sta dando una nuova opportunità e ha trovato la forza per venire da me e di essere ancora in piedi, nonostante tutto.

Le chiedo quale è la sua migliore aspettativa rispetto a quello di cui mi sta parlando e cosa le farebbe dire che quell’unico incontro le è stato utile.

Mi dice che poiché si sente inghiottita da questa vita e non vede la luce, le piacerebbe uscire con una speranza, con la speranza che qualcosa può cambiare anche poco, le basterebbe trovare un appiglio perché “è sempre tutto uguale piatto e appannato”.

Le chiedo se di questa infelicità e della insonnia, comunque, di questa stanchezza cronica parla con qualcuno e mi dice che lei ne parla continuamente a casa con il suo compagno o con il padre e ogni giorno ripete le stesse cose “come un disco rotto”.

Le rispondo che dobbiamo procedere per piccoli passi, cambiare qualcosa di piccolo, di possibile, di realizzabile che dobbiamo porci un obiettivo realistico a cui concretamente possiamo avvicinarci.

Stella ora mi sorride e si ricorda un episodio che la ha fatta stare bene, lo ricorda con una marea di dettagli e appare emozionata ed eccitata nel descriverlo.

Si tratta di una uscita con una amica che ha fatto circa un anno fa e la racconta come la sera in cui ha riso di più e il viso cambia mentre ne parla, si ricorda perfettamente il giorno, l’evento, le immagini e mi dice che le ha procurato un piacere indescrivibile.

Solo tre ore sola, fuori casa ed era riuscita a lasciare il bimbo ignorando i pianti e le scenate che lui mette in atto se lei va via ed esce senza di lui. Per una volta lo aveva lasciato al nonno, e ricorda a quel punto un altro episodio in cui il nonno aveva portato il bimbo in gita per una giornata e lei si era fatta capelli e mani ascoltando le sue canzoni preferite.

Ora Stella sembra un’altra persona distesa e più serena.

 

CHIUSURA TSS

Nella fase di chiusura riepilogo quanto ci siamo dette, è stato un incontro denso e assolutamente impegnativo, Stella mi dice: “Ora ho chiaro che io non mi concedo nulla, mai una cosa solo per me, ma faccio sempre tutto in funzione della famiglia, è tutto rivolto alle cure per mio figlio e non mi faccio neanche una coccola.” Il viso ora è più aperto e sorridente.

Termino la seduta parlando con Stella di igiene del sonno, alcune volte può essere utile correggere delle abitudini che magari si sono strutturate in modo disfunzionale e sostituirle con nuove modalità. Le consegno un foglio in cui sono indicate le 12 regole su cosa non andrebbe o andrebbe fatto.

Rispetto alla sua socializzazione del problema le rimando che, questo parlarne continuamente non fa altro che alimentarlo, rinforzarlo e renderlo più resistente e che lo sfogo diventa il fertilizzante che fa crescere l’ansia, per cui le chiedo di non parlare più con il compagno e con il padre.

Chiedo a Stella se vuole prendere un nuovo appuntamento oppure le do l’opzione di sentirci tra due settimane per capire come vanno le cose.

Stella mi risponde che vuole vedere, riflettere su tutto quello che è emerso e concedersi almeno un appuntamento un primo appuntamento per ora solo con sé stessa e poi a piccoli passi con la amica con cui ha riso tanto quella serata.

 

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