(Il caso clinico descritto in questo articolo NON è reale. Si tratta di una narrazione esemplificativa di una prima seduta di un intervento terapeutico breve strategico che prende spunto da più situazioni modificate e rese opportunamente irriconoscibili).

Il primo contatto

Sara (nome di fantasia) è una giovane donna di 45 anni che mi contatta telefonicamente per un primo appuntamento.

È la prima volta che si rivolge ad una psicologa e ha deciso di farlo perché la situazione che sta vivendo in questo momento della sua vita è diventata “insostenibile”.

Il motivo che la porta da me è una situazione di ansia, che definisce ormai “generalizzata” a tutti gli ambiti della sua vita e che origina dal contesto lavorativo.

La prima seduta e la definizione del problema

Nel presentarsi presso il mio studio, Sara appare una donna molto curata

nell’aspetto e gentile nei modi e il suo sguardo trasmette un leggero imbarazzo per questa “prima volta”, che verbalizza entrando nella mia stanza.

Dopo l’accoglienza di routine, chiedo a Sara qual è il problema che l’ha portata a richiedere questo primo incontro e se volesse, dunque, riprendere da quello che mi aveva anticipato durante la nostra chiamata.

Sara è un vero fiume in piena nel raccontarmi la situazione insostenibile che sta vivendo nel contesto lavorativo e che l’ha portata negli ultimi 6 mesi a sperimentare un’ansia e un’angoscia che si è generalizzata ormai a tutti gli ambiti della sua vita. Neanche durante il weekend, quando vorrebbe dedicarsi al riposo, alla sua famiglia e alle sue passioni, riesce a liberarsi da questa angoscia perenne che ormai la accompagna.

Sara ha un figlio adolescente e tante passioni legate alla meditazione e alle passeggiate/escursioni nella natura, che ultimamente non riesce più a fare proprio perché arriva ai weekend spossata e stressata a causa della situazione lavorativa.

Nel chiedere a Sara cosa le facesse dire di provare un’ansia generalizzata, cosa significasse per lei, mi racconta di una situazione lavorativa di “convivenza insostenibile”: lei lavora in una grande azienda e svolge una mansione molto particolare e questo la porta a lavorare a contatto diretto (ed esclusivo) con il suo superiore, un uomo grottesco che le sta letteralmente rovinando la vita.

Sara mi descrive questo suo superiore come una figura goffa e invadente che, nonostante lei svolga in maniera inapprensibile il suo lavoro, le critica ogni minima piccolezza, la interrompe di continuo con i pretesti più vari, ma ciò che è davvero intollerabile per Sara è il comportamento non verbale di quest’uomo che ha l’abitudine di parlare in maniera molto ravvicinata, emettendo dei veri e propri “sputacchi” che raggiungono la scrivania di Sara e Sara stessa, a volte.

Anche il clima lavorativo generale non è dei migliori, non è riuscita ad instaurare dei buoni rapporti con i colleghi che sembrano tutti impegnati in giochi di potere e prevaricazione.

Nonostante Sara abbia fiducia nelle sue capacità e sa di svolgere bene il suo lavoro – ma di dover imparare come tutti- sta iniziando a rimpiangere il fatto di aver accettato questa proposta lavorativa, che all’inizio le sembrava una vera occasione ma adesso ne vede solo i lati negativi, come ad esempio, i 30 minuti di viaggio in auto per arrivare e tornare a casa, che sono diventati un ennesimo momento in cui ripensare e alimentare l’angoscia legata alla situazione lavorativa.

In particolare, all’andata sperimenta una forte ansia anticipatoria per quello che la attenderà durante la giornata e questo la porta spesso a dover aprire il finestrino per riprendere aria (“fame d’aria”) e al ritorno ripensa a tutti gli accadimenti spiacevoli sul lavoro, sperimentando angoscia e malessere (“mi toglie tutte le energie”).

Nondimeno, il suo superiore tende a contattarla anche in orario extra- lavorativo e nei weekend, con la scusa di lavori urgenti o di cose che, a suo avviso, sono state fatte male. Questo porta Sara praticamente a non riuscire a staccare mai dal contesto lavorativo e a permanere nello stato di ansia e stress generato dal lavoro e da questa “convivenza asfissiante”.

Sara mi descrive la sensazione di sentirsi perennemente con il “fiato sul collo” da parte del suo superiore e che questa situazione sia peggiorata da quando lei ha iniziato a ricevere i complementi per il suo lavoro da parte del capo dipartimento. Questo, a detta di Sara, ha portato il suo superiore ad avere ancora di più gli occhi puntati su di lei e a volersi intromettere in ogni attività.

Indagando ulteriormente il funzionamento del problema, i due giorni in cui si trattiene a lavoro a tempo pieno sono i peggiori, mentre il mercoledì, giorno in cui il suo superiore è fuori sede, riesce “a respirare” un po’ di più, anche se quasi sempre la contatta telefonicamente.

Nei due giorni di tempo pieno, Sara arriva la sera completamente priva di energie, tanto che vorrebbe solo andare a letto e spegnere così il cervello.

(Indagine sulle risorse) Chiedendo a Sara come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento in quella situazione e a mantenere i suoi standard lavorativi, emergono molte risorse. È consapevole di vivere un momento difficile ma sa di possedere le risorse per farcela, perché nella sua vita non si è mai tirata indietro e la voglia di tornare a stare bene è forte. In passato anche ha affrontato altri momenti difficili sul lavoro ed era riuscita a “scrollarsi” da dosso tutte queste angosce e preoccupazioni: in questo momento, invece, sente di non farcela e di aver, inoltre, contaminato anche tutti gli altri ambiti della sua vita.

Definizione dell’obiettivo

Rispetto alla definizione dell’obiettivo, Sara mi dice che vorrebbe riuscire a “ridimensionare” il peso di queste preoccupazioni (vorrei fare più spesso “spallucce” e “fregarmene di quello che mi dice”) e a “liberare” almeno i weekend e i momenti in cui è a casa per tornare a dedicarsi alle sue passioni e alla famiglia.

Riuscire a raggiungere questo le farebbe dire che il nostro lavoro insieme le sarà stato davvero utile.

Le tentate soluzioni di Sara

Nel chiedere a Sara cosa avesse fatto fino a quel momento per tentare di risolvere il problema, emerge con chiarezza che Sara occupa tutto il tempo libero e fuori dal contesto lavorativo a parlare (o meglio “a vomitare”) del lavoro e di tutti gli accadimenti legati al suo superiore. Ne parla in particolare con la mamma e con il marito, fino a “fargli sanguinare le orecchie”. In particolare, durante i viaggi in macchina, diventati sempre più un peso, Sara per non prestare attenzione all’ansia anticipatoria, chiama la mamma con la quale si sfoga per tutto il tragitto. In effetti, sul momento sente di essersi sfogata ma dopo ha la sensazione di arrivare a lavoro ancora più carica di angoscia. Lo stesso accade per il viaggio di ritorno.

Durante i weekend, visto che è molto stanca, ha rinunciato alle gite e passeggiate nella natura e aggiorna il marito su tutti gli accadimenti della settimana lavorativa, con resoconti dettagliati e ricchi di particolari.

Ha inoltre deciso di bloccare su Whatsapp il suo superiore durante i weekend e questo la sta aiutando e inoltre sta ridimensionando “gli attacchi telefonici” del suo superiore.

Vista questa situazione di angoscia, Sara ha anche deciso di interrompere l’attività fisica, in particolare lo yoga, che svolgeva con molto beneficio sul suo benessere psicofisico. Mentre ne parliamo, Sara riconosce che probabilmente questa non era stata una buona idea perché evitare lo yoga l’aveva fatta peggiorare piuttosto che farla stare meglio.

La congiura del silenzio: acqua in bocca sul problema!

Sul finire del primo incontro con Sara, decido di intervenire bloccando la tentata soluzione predominante che stava mettendo in atto nel tentativo di trovare una “valvola di sfogo” al suo problema (e invece lo stava alimentando come mettere benzina sul fuoco, di fatto creando una situazione in cui le era letteralmente impossibile staccare da lavoro).

Attraverso una ristrutturazione restituisco a Sara l’idea che, nonostante immaginassi fosse difficile per lei non parlare del problema e che probabilmente sul momento le potesse dare un beneficio, un sollievo dall’ansia e dall’angoscia, il parlarne continuamente contribuiva a focalizzare ancora di più l’attenzione sul problema anziché mitigarlo, un po’ come quando mettiamo un concime o innaffiamo l’erba cattiva che vogliamo estirpare e invece ne alimentiamo la crescita facendo invadere tutto il nostro giardino. Pertanto, quello che le chiedo di fare è di osservare una vera e propria “congiura del silenzio” sul problema, sia con la mamma che con il marito, e che avremmo usato lo spazio di terapia per parlarne insieme.

Sara accoglie questo compito con un sollievo di cui non fa mistero: è davvero entusiasta di non “dover” parlare del problema e mi dice che il nostro incontro le ha fatto venire in mente che vuole anche tornare a frequentare il corso di yoga. (per approfondire le tecniche di strategiche, Leonardi, F., Tinacci, F. 2021, Manuale di psicoterapia strategica, Erickson Editore).

Gli incontri successivi

Dopo questo primo incontro ho lavorato con Sara per 6 incontri che hanno portato alla completa risoluzione della problematica ansiosa vissuta a lavoro, nella misura in cui riesce a non portarsi più il lavoro a casa (smettendo di parlarne) e avendo ripreso a fare le cose che per lei erano importanti e che la facevano stare bene (e questo ha fatto si che i comportamenti invadenti del suo superiore si ridimensionassero di molto). Riesce, inoltre, sempre di più a “fare spallucce” quando qualcosa proprio non va per il verso giusto.

 

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Bibliografia di riferimento

Leonardi, F., Tinacci, F., (2021). Manuale di psicoterapia strategica, Trento: Erickson Editore