Gli specialisti che si occupano della cura e della salute dell’individuo non possono prescindere dal tenere sempre in considerazione la dimensione etica e strategica attraverso le quali si decide di agire.

Questi due aspetti, sono strettamente connessi tra loro, inscindibili e da tenere bene a mente specialmente quando si tratta di interrogarsi sull’opportunità di utilizzare nel proprio intervento gli psicofarmaci.

Per quanto concerne la dimensione etica, il medico è chiamato ad agire sempre ai fini del massimo beneficio del paziente e all’attenersi ai principi della nuova etica biomedica: il principio di autonomia, di beneficenza, di non maleficenza e di giustizia.

Collegata strettamente a questa dimensione nella scelta del trattamento terapeutico, è poi quella strategica, la quale si riferisce ad una modalità d’azione il più efficace possibile per il raggiungimento di obiettivi specifici.

Quali considerazioni possiamo fare rispetto all’uso dei farmaci?

A questo punto, una prima considerazione che è possibile fare, è quella il significato attribuibile al termine cura. Questo può essere infatti inteso o come guarigione, estinzione completa del disturbo, oppure come gestione, relativamente invece alla sintomatologia.

Gli psicofarmaci, non agendo sulle cause dei disturbi, possono servire esclusivamente alla gestione dei sintomi o come supporto del processo di guarigione, il quale è possibile solo attraverso altri tipi di interventi, come quelli psicoterapeutici.

Altro aspetto da tenere in considerazione riguarda la valutazione dei costi e dei benefici del trattamento, in termini esistenziali, temporali ed economici.

Un intervento specifico potrebbe essere indicato solo nei confronti di coloro che necessitano di cure affinché possa essere possibile la loro guarigione.

Il professionista deve ricordarsi di prediligere sempre inizialmente minimi interventi, per poi eventualmente passare ad altri maggiormente invasivi solo se i primi non hanno riportato gli effetti desiderati.

Dono aver stabilito l’efficacia di un intervento, da considerare per un’azione etica e strategica è poi l’aspetto relativo alla sua efficienza. Questa si riferisce alla rapidità con cui un intervento terapeutico riesca a produrre i suoi risultati. In alcune circostanza l’efficienza può aumentare attraverso l’integrazione di psicofarmaci alla psicoterapia.

Infine ultimi aspetti da valutare riguardano i costi economici, inferiori se si interviene con la psicoterapia, e le preferenze della persona in cura. Aspetto quest’ultimo fondamentale ai fini di una buona compliance.

Il farmaco come “tentata soluzione”

Gli psicofarmaci possono avere utilità differenti soprattutto in base alle tipologie di disturbo che si intende trattare. In ciascun caso, l’assunzione del farmaco, in quanto atto terapeutico, prevede comunque delle implicazioni importanti su più livelli: emotivo, psicologico e sociale. Queste implicazioni, che riguardano sia il paziente che la realtà che lo circonda, potrebbero arrivare addirittura ad impedire la guarigione dal disturbo.

L’effetto etichettamento

Una prima implicazione importante concerne l’effetto etichettamento, ovvero la diagnosi come profezia che si auto avvera.

Tale effetto riguarda in particolar modo la premessa sottostante ed implicita all’uso degli psicofarmaci, ovvero che essi possano essere indispensabili per la persona che soffre di una psicopatologia.

Nel momento in cui un individuo viene etichettato con una diagnosi, anche gli stessi professionisti possono arrivare ad interpretare il comportamento della persona alla luce della sua etichetta diagnostica.

È ormai dimostrato che la semplicistica spiegazione biochimica delle psicopatologie abbia incrementato lo stigma sociale verso quelle persone considerate come “malate di mente”.

L’effetto etichettamento ha un’azione profonda anche sulla persona che è vittima dell’etichetta, oltre che sul suo contesto, potendo così avere conseguenze decisamente dannose e rischiando di peggiorare gli esiti del disturbo.

L’etichetta, inducendo il paziente ad identificarsi con questa, potrebbe limitare di molto le possibilità di guarigione, arrivando persino a rendere permanente la sintomatologia che avrebbe potuto essere invece transitoria per coloro che vivono la propria condizione come un disagio momentaneo.

L’effetto stampella

L’altra implicazione concerne poi l’effetto stampella, ovvero quel meccanismo per cui l’individuo delega completamento allo psicofarmaco la responsabilità per la gestione della sua sintomatologia.

Nonostante la persona abbia le risorse per il superamento del disturbo, il fatto di aver delegato al farmaco la sua gestione e di essersi completamente appoggiato a questo, non consente all’individuo di percepirsi come il responsabile ed il protagonista attivo del suo percorso di guarigione ma ciò lo rende anzi più vulnerabile ed insicuro.

Cosa dicono le neuroscienze?

Da un punto di vista neuroscientifico, fondamentale fu la scoperta della neuroplasticità cerebrale, tramite la quale avviene la modificazione continua dell’encefalo in funzione delle esperienze di vita che si fanno.

Questa scoperta ha consentito di comprendere come l’induzione di modifiche cerebrali non fosse più solo ad opera di psicofarmaci, dimostrando come anche tramite il processo psicoterapeutico sia possibile produrre modificazioni a livello delle sinapsi e dei geni.

Il cervello ha la capacità di riorganizzarsi plasticamente durante il percorso psicoterapeutico, il quale permettendo la strutturazione di nuovi apprendimenti, produce modificazioni specifiche e legate ad aspetti peculiari.

Le psicoterapie che, a tal scopo, sembrano essere quelle più efficaci, sono quelle cercano di guidare la persona a vivere esperienze concrete di cambiamento (come quelle cognitivo-comportamentali o brevi strategiche) e che non sono solo basate sugli insight di tipo cognitivo.

Queste esperienze emozionali correttive consentono di portare la persona a dei cambiamenti percettivi e comportamentali, sfruttando i meccanismi alla base della neuroplasticità ed inducendo attivazioni emotive che rendono maggiori le probabilità di sviluppare nuovi apprendimento nel minor tempo possibile.

Utili in questo senso sono le psicoterapie che si avvalgono di prescrizioni, compiti a casa che riescono ad aggirare le resistenze al cambiamento e che velocizzano questo processo di apprendimento.

In conclusione…

Per concludere possiamo dunque affermare che se da un lato i farmaci hanno lo scopo di placare la sintomatologia e di predisporre la persona al superamento del disturbo, la psicoterapia consente quei cambiamenti a livello esperienziale e quegli apprendimenti che siano in grado di modificare permanentemente la rete neurale e di guarire la persona.

Bibliografia

Caputo A., Milanese R. (2017). Psicopillole. Milano: Adriano Salani Editore s.u.r.l.

 

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