Nell’articolo di oggi andremo ad approfondire quali sono i punti chiave che differenziano la terapia strategica dagli altri tipi di terapie psicologiche.

La prima formulazione di quella che sarebbe diventata la terapia strategica risale alla fine degli anni ’70 ed è stata individuata dal gruppo di ricercatori del Mental Reseach Institute di Palo Alto.

Il loro impegno si focalizzò principalmente sulla sistematizzazione e quindi sulla replicabilità del lavoro di Milton Erickson.

Questo tipo di approccio entra in collisione con il concetto tradizionale di psicoterapia, al punto da definirsi “eretico” in confronto alle classiche prassi psicoterapeutiche (Nardone e Watzlawick, 1990). Sono proprio tali eresie le caratteristiche fondanti dell’approccio, che di seguito approfondiamo.

1. Il terapeuta strategico non segue un modello che spieghi e interpreti la natura umana.

Secondo la terapia strategica, è impossibile giungere ad una spiegazione assolutamente vera della realtà.

Essa sarà sempre filtrata dalla soggettività dell’osservatore. Le realtà sono quindi tante quanti i punti di vista esistenti.

La critica volta agli altri approcci psicoterapeutici riguarda il rischio di arroccarsi nella propria “autoreferenzialità”.

Per la terapia strategica non esiste il concetto di “normalità”.

L’interesse principale del clinico riguarda la funzionalità della relazione del soggetto con se stesso, gli altri e il mondo.

Tale funzionalità non avrà quindi caratteristiche assolutistiche, ma sarà diversa da individuo ad individuo e da contesto a contesto.

2. Il terapeuta strategico è maggiormente interessato al “come” piuttosto che al “perché”.

La terapia strategica parte dalla convinzione che i disturbi psichici siano determinati dalla percezione della realtà da parte della persona.

Il comportamento disfunzionale deriverebbe direttamente da questa percezione.

Finché non si cambia prospettiva, questo comportamento sembra essere l’unica alternativa per affrontare la realtà.

Il terapeuta strategico interverrà quindi sul far cambiare la prospettiva alla persona, in modo da modificare la percezione della realtà.

Così facendo la persona potrà acquisire nuove competenze e strategie per intervenire sulla sua situazione.

3. Problemi complessi e durevoli non necessitano necessariamente di interventi altrettanto lunghi e complicati

Un’altra caratteristica della terapia strategica è quella che vede i problemi come risolvibili attraverso un uso focale di strategie che rompano il sistema che mantiene il problema.

Il terapeuta aiuterà quindi la persona a uscire dalla rigidità della sua prospettiva senza scavare nel profondo alla ricerca delle cause del problema o di un insight.

Questo cambiamento di prospettiva avverrà attraverso prescrizioni di comportamento dirette, indirette o paradossali.

Una volta effettuato un primo cambiamento, anche piccolo, si innescherà un effetto a catena di cambiamenti via via sempre più importanti.

4. Per il terapeuta strategico l’agire precede il pensare

Al contrario della maggior parte delle psicoterapie, che ritengono che prima di cambiare il comportamento sia necessario modificare il pensiero, per la terapia strategica è vero il contrario.

Si parte quindi dalla premessa che è attraverso l’esperienza concreta che si determina il cambiamento nel modo di percepire la realtà e farvi fronte.

Il terapeuta strategico è quindi orientato primariamente all’azione per riuscire a rompere il sistema disfunzionale che mantiene il problema.

Così facendo il paziente potrà vivere concretamente nuove esperienze percettive reattive.

 

Riferimenti bibliografici

Nardone, G., Watzlawick, P. (1990). L’arte del cambiamento. Milano: Ponte alle Grazie.

Watzlawick, P., Nardone, G. (1997). Terapia breve strategica. Milano: Raffaello Cortina Editore