«Non esistono pazienti impossibili, ma soltanto terapeuti incapaci» disse Don D. Jackson.
Eppure un alibi usato da alcuni terapeuti è quello di etichettare il paziente come impossibile da trattare.
Generalmente si pensa che i pazienti impossibili, proprio perché identificati come tali, necessitino di tanto tempo per essere trattati.
“Serviranno anni per vedere i primi risultati”, queste ipotesi terapeutiche diventano delle vere e proprie profezie auto-avveranti sul paziente.
Con più tempo si sistema tutto?
Nankurunaisa.
Credo sia una delle parole più belle del mondo.
È giapponese e significa “con il tempo si sistema tutto”, eppure, per quanto riguarda la terapia, l’efficacia non sta nello scorrere inesorabile del tempo come panacea di tutti i mali, ma nell’uso strategico di tale tempo.
Anche il palazzo più imponente, se minato nei punti giusti, può crollare rapidamente. La sua costruzione, invece, richiede un lavoro lungo e faticoso (Nardone, Balbi, Vallarino, Bartoletti, 2017).
Questo è proprio l’intento della Psicoterapia breve a lungo termine.
Nell’80% dei casi di pazienti “impossibili”, riguardanti disturbi cronicizzati, borderline o patologie appartenenti allo spettro psicotico, la sintomatologia è stata azzerata o significativamente ridotta entro le prime cinque sedute.
Mentre gli incontri successivi allo sblocco della patologia invalidante servono invece ad accompagnare la persona nella costruzione di una vita autonoma e soddisfacente.
Cambiamenti improvvisi, effetti a rilascio graduale
Come volevasi dimostrare, non servono anni per vedere i primi risultati.
I grandi risultati si vedono sin dalle prime sedute.
Infatti la prima parte della terapia è prettamente strategica.
La seconda è invece esperienziale-evolutiva e serve a consolidare i cambiamenti terapeutici, sviluppare fiducia nelle risorse personali, grazie ad una ristrutturazione delle modalità percettivo-emotive, suscitare l’autostima e il senso di autoefficacia.
Insomma rendere questi pazienti impossibili, sempre più possibili.
“Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”, allo stesso modo un efficace primo cambiamento può rivoluzionare il presente e facilitare il percorso successivo, dando da subito grandi risultati.
D’altronde, come ci ricorda Paul Watzlawick: «il fatto che una patologia sia sofferta da molti anni non significa che la sua terapia debba essere altrettanto prolungata e sofferta».
Manovre terapeutiche per percorsi (im)possibili
Nei confronti delle patologie mentali maggiori, per i nostri “pazienti impossibili”, non sono stati formalizzati dei veri e propri protocolli di trattamento, ma sono state definite delle manovre terapeutiche in grado di provocare una vera e propria esperienza emozionale correttiva.
Ad esempio:
- il “controdelirio” (Watzlawick, Nardone, 1997), in grado di rimettere il paziente a contatto con la realtà,
- la tecnica del “pulpito serale” (Nardone, 1991), dove convogliare l’atteggiamento vittimistico di soggetti fortemente depressi o con mancato controllo degli impulsi, limitandone l’aggressività,
- la “ricerca delle conferme contradditorie” (Nardone, Balbi, 2008), in grado di smontare gravi manie persecutorie.
Siamo spesso portarti a pensare che davanti ad un problema dobbiamo risolverlo.
Eppure a volte solo correggendo i propri pensieri, i problemi si risolvono da soli, anche nei casi più “impossibili”.
D’altronde, ogni giorno, qualcuno sta facendo qualcosa che qualcun altro ha detto era impossibile.
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F., Piccirilli F., “Terapia breve centrata sulla soluzione”, EPC editore, 2020
Nardone, Watzlawick, “L’arte del Cambiamento”, Ponte alle Grazie, 1990
Nardone G., con Balbi E., Vallarino A., Bartoletti M., “Psicoterapia breve a lungo termine”, Ponte delle Grazie, 20017