“Esistono sempre tre discorsi dietro ad ognuno dei discorsi che avete fatto:

quello in cui vi siete esercitati,

quello che avete realmente fatto

e quello che avreste voluto fare.”

(Dale Carnegie)

Il primo colloquio strategico

In letteratura si trovano molteplici definizioni di “colloquio”, tutte rappresentative dei diversi campi di applicazione (teorici o empirici) in cui lo strumento viene utilizzato (scolastico, giudiziario, aziendale, psicoterapeutico, psichiatrico).

In ambito psicologico clinico, tuttavia, si evidenziano due principali prospettive epistemologiche alla base dei diversi modi di concepire e utilizzare tale strumento: quella quantitativa e quella qualitativa. Nel primo caso, il colloquio rappresenta un mezzo per raccogliere informazioni oggettive dall’intervistato, sottolineando l’aspetto contenutistico del dato; nel secondo, un mezzo per fissare l’attenzione sul processo d’interazione tra gli interlocutori, posizioni definite rispettivamente psicometrica e clinica (Trentini, 1995).

Tuttavia utilizzando il colloquio come metodo di intervento, esso non rappresenta solo una raccolta di informazioni o un momento di incontro, ma una relazione interpersonale attraverso la quale è possibile raggiungere una conoscenza (Giusberti, Ricci-Bitti, 1, 1, 1987).

Dal punto di vista strategico-costruttivista (Von Foerster, 1973; Watzlawick, 1977, 1981; Stolzenberg, 1978; von Glasersfeld, 1981, 1995; Nardone, 1991) non ci si avvale di nessuna teoria sulla natura umana e di conseguenza nemmeno di definizioni di normalità o patologia. Secondo quest’ottica i problemi umani sono il prodotto dell’interazione tra soggetto e realtà e sono gli sforzi che la persona compie verso il cambiamento a mantenere la situazione problematica immutata.

La persistenza di un problema si regge sulle “tentate soluzioni” (Watzlawick et al., 1974; Nardone, 1994; Watzlawick, Nardone, 1997) messe in atto dal soggetto e dalle persone a lui intorno per risolvere il problema stesso. Se le tentate soluzioni non funzionano finiscono per retroagire sul problema complicandolo. Viene così a strutturarsi quello che può essere definito un “sistema percettivo-reattivo” patogeno, che si esprime nella perseveranza a utilizzare strategie apparentemente produttive o che hanno funzionato nel passato per un problema simile, ma che nella situazione attuale funzionano come amplificatore del problema stesso (Nardone, Watzlawick, 1990).

Per sistema percettivo-reattivo di un individuo si intendono le sue modalità ridondanti di percezione e reazione nei confronti della realtà, che si esprimono nel funzionamento delle tre tipologie di relazioni interdipendenti: la relazione tra il Sé e il Sé; la relazione tra il Sé e gli altri; la relazione tra il Sé e il Mondo (Nardone, 1991). Scopo di un intervento strategico, dunque, è quello di interrompere quel circolo vizioso che si è venuto a creare tra tentate soluzioni e persistenza del problema, mediante specifiche manovre in grado di sovvertire l’equilibrio patogeno del sistema.

Per risolvere un problema, quindi, occorre capire come il sistema di percezione e reazione nei confronti della realtà funzioni nell’hic et nunc. Ovvero si deve cercare di capire “come” funziona il problema e non “perché” (cause).

I cambiamenti possono essere di primo e di secondo livello. Al primo livello ci sono le cose, i fatti, al secondo livello si collocano le opinioni che abbiamo sulle cose. Una terapia efficace produce cambiamenti di secondo livello, ovvero cambia le regole che cambiano le regole, oppure le opinioni che si hanno sulle cose e che determinano la percezione.

Nell’ambito della psicoterapia strategica il primo colloquio può essere considerato un intervento in quanto lo psicoterapeuta ha già l’opportunità di restituire al paziente il funzionamento del suo problema, svelandone le tentate soluzioni utilizzate fino a quel momento.

In ambito strategico non esiste una demarcata differenziazione tra fase diagnostica e fase terapeutica, in quanto si ritiene che qualunque tipo di comunicazione, anche solo esplorativa sia una forma consapevole o inconsapevole di influenza che terapeuta e paziente esercitano reciprocamente. Pertanto la fase conoscitiva, di definizione del problema e di indagine del sistema percettivo che lo mantiene, diviene deliberatamente già terapeutica.

Per definire concretamente il problema, il terapeuta deve trovare la risposta ad una serie di domandedel tipo:

  • che cosa il paziente identifica come problema?
  • in che modo si manifesta?
  • con chi il problema si presenta, peggiora, si maschera o non appare?
  • quando e dove di solito si manifesta?
  • con quale frequenza ed intensità si manifesta?
  • che cosa è stato fatto o viene fatto ora (sia dal soggetto che da altri) per risolvere il problema?
  • a cosa serve il problema?
  • a chi porta benefici e chi potrebbe essere danneggiato dalla risoluzione del problema?

Gli obiettivi da raggiungere nel primo colloquio, oltre alla definizione del problema, sono:

  • l’adesione e la collaborazione del paziente;
  • la definizione degli obiettivi e la costruzione della relazione;
  • l’indagine sul sistema percettivo reattivo del paziente e la sua ridefinizione;
  • la costruzione dell’ipotesi di intervento e le prime manovre.

Per ciò che riguarda la comunicazione viene usato un linguaggio tipicamente ipnotico basto sulla suggestione e sull’influenza interpersonale, ma senza che venga attuata una induzione formale ditrance. Nel condurre tale indagine si ristruttura la percezione di sé, degli altri, e del mondo presentando al paziente una serie di ipotetici punti di vista diversi in relazione al problema presentato, alla situazione prospettata e alle sue eventuali concezioni in merito.

Il primo contatto con il paziente assume, dunque, un ruolo fondamentale: da un lato, il terapeuta deve entrare in possesso delle conoscenze relative al paziente ed al suo problema, che gli permettono di mettere a punto un piano strategico di trattamento e selezionare le particolari manovre da applicare; dall’altro lato, deve catturare il paziente, ossia acquisire potere di intervento costruendo una situazione ricca di suggestione tale da rendere il paziente collaborativo.

Le strategie normalmente usate in questa fase sono la tecnica del ricalco, la ristrutturazione del problema presentato, la ristrutturazione del sistema percettivo-reattivo, delle tentate soluzioni operate e le eventuali prescrizioni.  In questa fase, infine, risulta fondamentale ai fini della produzione di reazioni utili sia alla comprensione che alla prima alterazione del sistema di tentate soluzioni che mantengono il problema, assegnare delle prescrizioni di comportamento da eseguire nello spazio tra una seduta e l’altra.

Dott.ssa Angelica Giannetti

Psicologo, Psicoterapeuta

Specialista in Psicoterapia Breve ad Approccio Strategico

 

 

Bibliografia

Fisch, R., Weakland, J., H., Segal, L., 1982, Change: le tattiche del cambiamento, tr. it., Astrolabio, Roma.

Foerster, H. von, 1987, Sistemi che osservano, Astrolabio, Roma.

Giusberti F., Ricci – Bitti P. E., (1987), A proposito del colloquio clinico, Rivista di Psicologia Clinica, 1-1, La Nuova Scientifica, Roma, pp. 23-37.

Glasersfeld, E. von, 1988, Introduzione al costruttivismo radicale, Feltrinelli, Milano.

Glasersfeld, E. von, 1995, “Radical Constructivism”, The Falmer Press, London.

Nardone, G., 1991, Suggestione, ristrutturazione, cambiamento. L’approccio strategico e costruttivista alla terapia breve, Giuffrè, Milano.

Nardone, G., Watzlawick, P., 1990, L’arte del cambiamento. Milano: Ponte alle Grazie.

Stoltenberg, C.D., 1981, “Approaching supervision from a developmental perspective: counselor complexity model”,  Joumal of Counseling Psychology, 28(1), 59-65.

Stoltenberg, CD., Delworth, U., 1987, Supervising counselors and therapists: a development approach,Jossey Bass, San Francisco.

Trentini G., (1995), Fondamenti istituzionali del colloquio e dell’intervista, in Trentini G. (a cura di),Manuale del colloquio e dell’intervista, UTET, Torino, pp. 1-44.

Watzlawick, P., 1971, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma.

Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, Don D., (1967), Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma.

Watzlawick, P., Weakland, J.H., Fisch, R., 1974, Change. La formazione e la soluzione dei problemi,Astrolabio, Roma.

Watzlawick, P., 1980, Il linguaggio del cambiamento:elementi di comunicazione terapeutica, Astrolabio, Roma.

Watzlawick, P., 1981, La realtà inventata, Feltrinelli, Milano.

Watzlawick, P., Nardone, G., 1980, (a cura di), Terapia breve strategica, Raffaello Cortina, Milano.

Watzlawick, P., 1985, Hypnotherapy without trance, in Zeig, J. K., (a cura di),  Ericksonian Psychotherapy, Vol. I: Structures (p.p. 5-14), Brunnel-Mazel, New York.