Come molti di voi sapranno, gli studi sul trauma hanno origini molto lontane. Le prime ricerche infatti risalgono ai veterani di guerra, ai sopravvissuti ai campi di concentramento e successivamente si sono indirizzate verso le vittime di abusi.

Molti approcci di psicoterapia si sono interessati a questo argomento, elaborando teorie e modelli operativi di cura. Per questa ragione ad oggi la letteratura è molto ricca di contributi ed è difficile identificare una teoria unica e un processo di cura che possa essere considerato efficace in maniera uniforme per tutte le persone che hanno vissuto un episodio traumatico.

Ciò che sicuramente accomuna molti dei contributi presenti in letteratura è l’idea che l’esposizione, più o meno prolungata, ad un evento traumatico provochi ripercussioni sull’assetto psico-fisico dell’individuo.

Secondo un’ottica costruttivista, tipica dell’approccio di Terapia Breve Sistemico Strategico insegnato presso Istituto Icnos, ogni individuo legge la realtà traumatica che vive in un modo del tutto soggettivo e di conseguenza anche il suo impatto terrà conto del modo in cui la persona guarda alla realtà e si relaziona con essa.

Il Costruttivismo, infatti, si interessa molto al concetto di “realtà” e al modo in cui ciascuno di noi entra in relazione con essa, la influenza e a sua volta ne subisce le influenze.

Le risposte al trauma nel modello Sistemico-Strategico

L’assetto sintomatologico che spesso caratterizza le persone che subiscono un’esposizione ad un evento traumatico si caratterizza con una generale riduzione delle abilità individuali di far fronte agli eventi. I sintomi, come ad esempio l’intrusività dei pensieri, la negazione o l’evitamento, rappresentano una risposta al trauma.

Buona parte degli studi presenti in letteratura ritiene che la misura in cui la persona si riprende spontaneamente da questi sintomi dipende in larga parte dall’entità dell’evento e da quanto la stessa vi sia stata esposta. Eventi moderatamente traumatici possono portare più facilmente ad una remissione spontanea ma eventi traumatici importanti o ripetuti rendono difficile che ciò avvenga.

Secondo una visione sistemico-strategica il trauma è reale e deve essere letto in un’ottica più ampia di quella individuale poiché le sue conseguenze investono i sistemi più significativi per la persona.

Erickson, clinico di fama mondiale e fautore dell’approccio di terapia strategica, si è occupato molto di traumi nel suo lavoro clinico. Egli sosteneva che le persone vanno in terapia perchè si sentono bloccate e paragona questo blocco ad un “fiume sbarrato da una diga di tronchi”. Il terapeuta deve aiutare il paziente ad individuare quella chiave di sblocco che possa permettergli di dare un calcio al ceppo giusto e far fluire così i tronchi che sbarrano il fiume nell’ordine che preferiscono.

L’approccio sistemico-strategico per la risoluzione del trauma

Il primo colloquio con persone vittime di traumi è molto importante poiché pone le basi per il successivo evolversi del percorso terapeutico. Il terapeuta sistemico-strategico deve essere da una parte in grado di saper comunicare la propria vicinanza emotiva (“capisco quello che senti”), dall’altra deve saper guidare il paziente con l’ausilio di strumenti di cui, in qualità di tecnico, dispone.

Una tecnica molto utile, ideata da Giorgio Nardone e dai suoi collaboratori del Centro di Terapia Strategica di Arezzo è il “Romanzo del Trauma”. Essa consiste nel chiedere al paziente che ogni giorno metta per iscritto, in una sorta di racconto e nella maniera più dettagliata possibile, tutti i ricordi del trauma passato: immagini, sensazioni, pensieri. Ogni giorno dovrà ripercorrere quei terribili momenti vissuti per iscritto, fino a quando non senta di avere scritto tutto ciò che è necessario dire.

Una volta scritto, dovrà evitare di rileggere e mettere il tutto in una busta. Alla seduta successiva, il paziente dovrà consegnare tutto i suoi scritti al terapeuta. Parallelamente, si prescrive alla persona di smettere di parlare del trauma e di quanto questo stia ancora influenzando la sua vita (congiura del silenzio), veicolando tutta la pressione del malessere dentro gli scritti quotidiani.

Mediante questa prescrizione innanzitutto la persona esternalizza tutti i ricordi, le immagini, i flashback che continuamente la assillano e, trasferendoli su carta, a poco a poco inizia a liberarsene.

Il ripercorrere per scritto nel corso dei giorni il tragico evento permette anche di distaccarsi gradualmente dalla paura, dal dolore e dalla rabbia che questo ha provocato, producendo l’ultimo effetto, la ricollocazione temporale del passato nel passato. Il dover consegnare il romanzo al terapeuta, infine, rappresenta una sorta di “rito di passaggio” di superamento dell’evento traumatico.

Parlare di trauma secondo il modello sistemico-strategico implica la necessità di depatologizzare il cosiddetto “paziente designato”. Così facendo si punta a valorizzare le risorse del paziente e dei suoi sistemi relazionali di riferimento (quali ad esempio la famiglia) e a non enfatizzare diagnosi che mettono in luce solo ciò che non funziona nella persona. Ma attenzione perché depatologizzare non significa una sottovalutazione/banalizzazione dei traumi e della gravità delle loro conseguenze sulla vittima.

Partendo da questo presupposto, l’idea è quella di aiutare la persona a vedere in ciò che non funziona una “tentata soluzione disfunzionale”, ovvero un comportamento reiterato che non fa altro che rinforzare e alimentare l’assetto problematico. In questo senso ciò che per la persona potrebbe sembrare risolutivo in realtà è esso stesso il problema. Diventa allora necessario aiutare il paziente a liberarsi della sua soluzione disfunzionale piuttosto che del suo problema.

Cercare di recuperare il trauma nel paziente non è indicato secondo il modello sistemico-strategico! Lavorare sulle cause non è prioritario. Lo è invece invertire il funzionamento della persona, attraverso l’individuazione di strategie alternative che interrompano il circolo vizioso generato dalle tentate soluzioni disfunzionali.

L’ipnosi, infine, può configurarsi come uno strumento utile al servizio del terapeuta sistemico strategico per fronteggiare le problematiche derivanti dall’esposizione del paziente ad un evento traumatico. Esso è infatti un metodo che consente alla persona di raggiungere uno stato simile a quello dissociativo che non rappresenta una conseguenza del trauma bensì diventa una scelta terapeutica in cui il paziente è parte attiva. Diventa quindi la possibilità per modificare la percezione di sintomo (ad esempio quello dissociativo), realizzando un processo di ristrutturazione terapeutica.

Attraverso l’ipnosi il controllo degli stati emotivi che ne deriva ha una funzione terapeutica perché aiuta il paziente a sviluppare un senso di sicurezza nel proprio ambiente e relativamente alle sue azioni. Tecniche come “l’immaginare un posto sicuro” durante l’ipnosi aiuta la persona a sviluppare metodi auto-calmanti.

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Simonetta Bonadies
Psicologa, Psicoterapeuta
Team dell’Italian Center
for Single Session Therapy

 

 

 

 

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