[Il caso clinico in questione NON è reale. Si tratta di un esempio che prende spunto da più situazioni modificate e rese irriconoscibili]

 

B. ha 35 anni, è un avvocato e ha uno studio professionale avviato con diversi dipendenti. Convive con il proprio uomo da almeno 10 anni e ha in programma di sposarsi.

B. è una donna ambiziosa, indipendente e molto determinata e c’è una cosa che vorrebbe nella propria vita. Un figlio. Tuttavia la sterilità del marito non glielo consente.

 

B. mi contatta proprio per questo motivo: non riesce a digerire l’idea che non possa avere un figlio che appartenga ad entrambi, ma solo a lei, che dovrà valutare se prendere in considerazione metodi alternativi di fecondazione ma che in ogni caso, questo figlio alla fine sarà solo suo.

 

Mi racconta della sua vita, della sua famiglia, dei suoi amici ed emerge forte l’influenza familiare in questa decisione.

 

Approfondito il problema e definito l’obiettivo della seduta, le spiego che una sola seduta spesso è sufficiente per risolvere un problema ma che ovviamente questo varia da persona a persona. Tuttavia al termine dell’incontro stabiliremo insieme se la seduta è stata sufficiente oppure no e se vorrà prendere un secondo appuntamento.

 

Esploro meglio il problema. “Cosa ti spaventa, che il bambino possa assomigliare solo a te o che non ti somigli affatto?”

 

La natura ansiosa di B si manifesta nel tentativo di tenere sotto controllo qualcosa che è naturalmente imprevedibile. Vorrebbe che le cose fossero andate diversamente, al contempo è innamorata del compagno e non vuole lasciarlo anche perché dice: dovrei iniziare tutto daccapo!

 

Vagliamo insieme le alternative che ha di fronte: lasciare il compagno, stare con il compagno senza avere un figlio, oppure avere un figlio “con lui”, un donatore.

 

B sostiene che un figlio lo vuole e che vuole restare con il compagno, ma che è preoccupata che lui possa non accettarlo.

 

Le chiedo che cosa pensa che gli sia utile per cambiare: “essere meno preoccupata. Pensare più a me che agli altri”

 

Intervengo ristrutturando due cose: la prima è che le chiedo se stia a lei decidere come debba sentirsi il suo compagno o se pensa che il compagno possa decidere per conto suo.

 

Inoltre la invito a riflettere che poiché prova paura sta “tentando di controllare” la reazione del compagno.

La seconda cosa che le faccio notare è che spesso i figli naturali non somigliano ai genitori ma che possono riprendere dai nonni, dagli zii o dai parenti in generale ed essere totalmente diversi dalla famiglia d’origine.

 

Lei ci pensa molto su questa cosa e mi dice che non ci aveva mai riflettuto.

 

Indago le eccezioni al problema, se ci sono state volte in cui le cose sono andate diversamente dai suoi piani e come abbia reagito ed esce fuori una donna in realtà molto forte e determinata che risolve gli imprevisti nella vita, così come risolve i casi a lavoro.

 

Rinforzo questa abilità, facendo leva anche sulla presenza del compagno, sul tipo di reazione positiva che lui aveva avuto, con l’intento di mostrarle le sue risorse e al contempo di contenere e depotenziare la sua visione catastrofica dell’evento.

 

B. si tranquillizza e mi dice che penserà a tutto quello che ci siamo dette, perché non aveva mai preso in considerazione queste altre percezioni del problema.

 

Le prescrivo il come peggiorare nel tentativo di far emergere le Tentate soluzioni.

 

Quando le chiedo se vuole un incontro successivo mi dice di no, che vuole vedere come se la cava da sola e che ci sentiremo tra due settimane per un feedback telefonico.

Dopo due settimane ci siamo risentite per valutare come andava.

 

B. mi dice che sta bene, che si è tranquillizzata e che ha deciso di avere un figlio insieme al compagno e che avrebbero iniziato questo percorso importante.

 

Le dico che la mia porta rimane aperta e le faccio i complimenti per questo piccolo grande passo verso il futuro.

 

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