La medicina, nel corso della sua storia è stata promotrice di sistemi concettuali aderenti ad una cultura soprattutto orientata alla malattia, alla comprensione della stessa e alle modalità di affrontarla.

La psicologia, fin dalla sua nascita come disciplina scientifica, ha anch’essa abbracciato da subito terminologie come “psicodiagnosi”, “psicologia clinica”, “psicopatogenesi” mostrando estrema coerenza con il modo di esprimersi del modello malattia.

Per quanto concerne poi gli approcci psicoterapeutici, anche questi in origine si occupavano di ricercare le cause sottostanti ad ogni problematica al fine di diagnosticarle e poi trattarle tramite modalità e tecniche ben precise.

Il ruolo del terapeuta veniva dunque a configurarsi come quello di uno scienziato in grado di determinare lo stato di funzionamento di un soggetto, se adeguato o meno, per poi lavorare affinché potessero essere superate eventuali inadeguatezze.

A partire dagli anni Sessanta inizia a verificarsi un radicale cambio di paradigma che conduce alla nascita di nuovi approcci terapeutici e al graduale abbandono della convinzione di poter arrivare ad ottenere delle verità oggettive ed assolute.

In questo contesto nasce, nella seconda metà degli anni Ottanta, la Terapia Centrata sulle Soluzione (TBCS), la quale non pone il suo focus sulle cause del problema o su come questo funzioni, ma si concentra esclusivamente sulle soluzioni che possano essere maggiormente adatte al superamento del disagio della persona.

Verso il “futuro”

Nonostante, per i primi tempi, il gruppo di Milwaukee occupasse molti dei suoi sforzi verso l’individuazione e la descrizione del problema, con il tempo tutta l’attenzione iniziò ad essere rivolta alla definizione di quegli interventi che potessero consentire al singolo di giungere alle sue soluzioni ed al suo “futuro desiderato”.

Partendo dal presupposto che il discorso narrativo sul problema, rispetto a quello centrato sulla soluzione, avesse molta meno probabilità di portare ad un cambiamento e a delle trasformazioni, de Shazer formulò una modalità di lavorare con le persone completamente orientata alla soluzione.

La Terapia Centrata sulla Soluzione infatti richiede al professionista di porre tutta l’attenzione sul futuro della persona.

Il terapeuta incentiva un discorso su un futuro che vada al di là del problema e che metta in risalto ogni segnale di progresso e tutto quello che il cliente già sta mettendo in atto per realizzazione di questo futuro.

Solution talk. Il potere delle domande

La Terapia Centrata sulla Soluzione attraverso l’uso di peculiari domande tenta di supportare la persona nella creazione di descrizioni, quanto più dettagliate possibili, di scenari futuri privi del problema presente e che rappresentino la realizzazione delle migliori aspettative desiderate.

Le domande, in ambito terapeutico, comunicano all’altro specifici messaggi riguardanti le ipotesi e la visione del mondo che possiede il terapeuta.

Dunque, le domande non sono mai neutre o oggettive.

Oltre a inviare messaggi, le domande hanno anche il potere di orientare e strutturare l’attenzione sia del terapeuta che della persona, la quale inizierà a modellare la risposta sulla base proprio della domanda posta.

Il contenuto delle domande può generare nel cliente sentimenti, pensieri e addirittura esperienze alternative invitando la persona a dare origine a delle nuove realtà nelle quali riuscire ad individuare e a sperimentare nuove possibilità e nuove conoscenze.

Le risposte dunque che si otterranno in terapia, saranno relative alle domande che verranno innanzitutto poste.

Se si pongono domande sui problemi, di quello si sentirà parlare e su questo verrà posta l’attenzione, viceversa, se vengono poste domande che si concentrano sul cambiamento é possibile inviare messaggi sulle capacità e sulle possibilità della persona di cambiare riuscendo così ad imboccare la strada di una trasformazione nel tempo presente:

“Il futuro entra in noi per trasformarsi in noi molto prima che accada”(Rainer Maria Rilke, “Lettere a un giovane poeta”, 1994).

Il terapeuta solution-oriented

Il terapeuta che orienta il proprio agire sulla soluzione, é chiamato ad incontrare la persona nella sua totalità, le sue risorse, il modo con cui egli sia artefice del proprio cambiamento, e non il suo problema.

Durante una seduta di Terapia Centrata sulla Soluzione, il terapeuta mette in atto una conversazione che é scevra dal problema presentatogli (problem free talk).

Con delicatezza e senza insistere, il professionista orienta e guida il dialogo su ciò che la persona desidera, sulle sue migliori aspettative, su tutto ciò che ha funzionato per lei in passato e su ciò che farà quando il problema non ci sarà più.

Infine il terapeuta solution-oriented é chiamato a mettere in atto un tipo di ascolto costruttivo, vale a dire cercare di farsi raccontare e notare tutto ciò che la persona abbia fatto di utile per sé stessa.

Il terapeuta, con un atteggiamento di sincera curiosità coglie ed evidenzia quegli aspetti che consentano alla persona di costruire e descrivere gli scenari, futuri e presenti, che vadano al di là del problema e che rappresentino il modo con cui il cliente vorrebbe continuare a vivere la sua vita.

Bibliografia

Cannistrà F., Piccirilli F. (2021). Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Roma: EPC Editore.

Dine K. R. (1990). Visions of the future: The Miracle Question and the possibility for change. BA: BOWLING GREEN STATE UNIVERSITY.

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