Erickson: ipnosi senza trance e domande indirette

L’ipnosi senza trance è un concetto strettamente legato all’opera di Milton Erickson, psichiatra e psicoterapeuta che ha rivoluzionato la pratica dell’ipnosi nel XX secolo.

Mentre l’ipnosi tradizionale prevede l’induzione di uno stato di trance profondo nel soggetto, Erickson sosteneva che si potesse raggiungere un’efficacia terapeutica anche senza indurre tale trance. Invece di guidare il cliente in una trance profonda, intesa come stato alterato di coscienza, egli utilizzava un linguaggio indiretto, ricco di metafore, racconti, aneddoti e domande strategiche che guidava il cliente verso la scoperta e la risoluzione delle proprie difficoltà.

L’ipnosi senza trance, in quest’ottica, era considerata una forma di apprendimento altamente focalizzata e un processo di comunicazione, basandosi sull’idea che ogni persona abbia risorse interiori non sfruttate, raggiungibili attraverso la comunicazione e la suggestione. Erickson vedeva il suo ruolo come quello di facilitatore di tale processo.

 

A tal proposito, il libro di Erickson e Rossi (1982) in apertura riporta:

“Consideriamo l’ipnoterapia un processo mediante il quale aiutiamo le persone a utilizzare le loro associazioni mentali, ricordi e potenzialità per raggiungere il proprio scopo terapeutico. La suggestione ipnotica può facilitare l’utilizzazione di capacità e potenzialità che esistono già in una persona ma che rimangono inutilizzate o sottosviluppate per mancanza di impegno o perché non comprese. L’ipnoterapeuta esamina attentamente l’individualità del paziente per accertare, tra ciò che questi ha appreso dalla vita, quali esperienze e abilità mentali sono disponibili per affrontare il problema. Il terapeuta quindi facilita un approccio all’esperienza della trance in cui il paziente può utilizzare queste esperienze assolutamente personali per raggiungere fini terapeutici.”

 

Un elemento chiave dell’ipnosi senza trance è l’uso di ciò che Erickson chiamava “suggerimenti indiretti”. Egli sosteneva, infatti, che i suggerimenti indiretti fossero più efficaci di quelli diretti perché consentivano alla persona di arrivare alle proprie conclusioni, piuttosto che sentirsi dire cosa fare.

Le domande, di tipo indiretto, che egli proponeva suggerivano una certa risposta ed erano progettate per influenzare il pensiero della persona in modo non evidente, lasciandole in ogni caso la libertà di rispondere nel modo che riteneva più appropriato. Le risposte nate da un linguaggio diretto sono spesso “ristrette e limitate” mentre l’uso di un approccio indiretto può mostrare un ampio spettro di risposte, quasi illimitato. Così facendo, Erickson era in grado di condurre le persone verso il cambiamento, senza imporgli una determinata soluzione o risposta (Loriedo et al., 2002).

Ad esempio: in una terapia tradizionale basata su suggerimenti diretti, il terapeuta potrebbe dire: “Quando conto fino a tre, sentirai un rilassamento profondo“.

Questa frase mira a creare una risposta specifica e ben definita. Al contrario, nell’ipnosi senza trance ericksoniana, i suggerimenti sono molto più sottili e indiretti e il terapeuta potrebbe dire: “Potresti iniziare a notare come il tuo respiro diventa più profondo e più lento…“.

Con questa modalità non si dice al paziente cosa deve fare ma gli si suggerisce un percorso possibile che può scegliere di seguire o meno.

Domande per elicitare risorse

La capacità di formulare domande efficaci e riflessive è competenza fondamentale per ogni terapeuta (Del Corno et al., 1996).

Erickson credeva fermamente nel potenziale e nelle risorse di ogni individuo, che, tuttavia, spesso rimangono nascosti o inutilizzati. Quindi, un aspetto fondamentale del suo approccio era elicitare o “tirar fuori” tali risorse nella persona. Questo veniva fatto spesso attraverso l’uso di domande che richiamavano specifiche esperienze passate in cui la persona aveva dimostrato la capacità di affrontare con successo altre sfide.

Ad esempio, egli avrebbe potuto chiedere:

  • Ricordi un momento in cui ti sei sentito particolarmente capace di gestire una situazione difficile?”
  • Quando pensi a un periodo della tua vita in cui ti sentivi veramente forte e capace, cosa stavi facendo? Come puoi applicare quello che hai imparato in quel momento alla tua situazione attuale?
  • Ti sei mai sentito sopraffatto ma poi hai trovato il modo di risolvere il problema? Cosa ti ha aiutato in quel momento?

Le domande di questo tipo rafforzano l’autostima della persona, ricordandogli momenti in cui era riuscito a gestire le difficoltà. Si identificando così anche le strategie e le abilità che aveva usato e che potrebbero essere utili nel presente. Inoltre, il ricordo di queste esperienze passate evoca stati emotivi positivi che possono essere utili nel processo terapeutico.

Domande performative

Le domande di tipo performativo non sono semplici richieste di informazioni: sono progettate per influenzare attivamente il paziente e facilitare un cambiamento nel suo pensiero o comportamento. Queste domande sono spesso basate su presupposizioni positive, che implicano che il cambiamento desiderato sia già in atto o sia imminente (Nardone, 2020).

Ad esempio, si potrebbe chiedere:

  • Quando hai iniziato a sentirti meglio?“: anche se la persona non ha riportato al terapeuta alcun miglioramento, la domanda presuppone che il miglioramento stia già avvenendo e invita la persona a riconoscere e riflettere su questi cambiamenti
  • Come ti sentirai quando avrai superato questo problema?“: non solo presuppone che la persona supererà il problema ma la incoraggia anche a immaginare un risultato positivo, visualizzando un futuro in cui il problema non esiste più
  • Che tipo di risorse scoprirai in te stesso quando affronterai questo problema?“: la domanda può aiutare la persona a riconoscere che ha le risorse interne per affrontare il problema e superarlo
  • Cosa ti diranno i tuoi amici quando vedranno il cambiamento in te?“: aiuta a immaginare un futuro in cui il cambiamento è già avvenuto e come sarà percepito da altri, contribuendo a renderlo più reale nella mente della persona.

In ognuno di questi esempi, la domanda si propone di influenzare il modo in cui la persona pensa al suo problema e alla sua capacità di risolverlo.

Le domande performative, quindi, possono aiutare a:

  1. creare un quadro di riferimento positivo
  2. bypassare la resistenza
  3. accedere alle risorse della persona
  4. incoraggiare la persona a vedere sé stessa in un contesto di miglioramento e crescita

 

In conclusione…

Le domande sono uno strumento versatile e potente in ambito psicologico. Sono essenziali per comprendere e connettersi con il paziente, guidare il processo terapeutico, facilitare il cambiamento e promuovere sia l’autonomia che il benessere.

Le parole hanno il potere di distruggere e di creare.

Quando le parole sono sincere e gentili possono cambiare il mondo

– Buddha –

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Del Corno, F., Lang, M., & Menozzo, F. (1996). Modelli di colloquio in psicologia clinica (6th ed.). FrancoAngeli, Milano.

Erickson, M. H., & Rossi, E. L. (1982). Ipnoterapia. Astrolabio, Roma

Loriedo, C., Nardone, G., Watzlawick, P., & Zeig, J. K. (2002). Strategie e stratagemmi della psicoterapia. FrancoAngeli, Milano

Nardone, G. (2020). Ipnoterapia senza trance: Parlare alla mente emotiva dell’altro. Ponte alle Grazie.