Negli ultimi decenni, l’approccio delle Terapie Brevi ha guadagnato sempre più riconoscimento nell’ambito del trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) e possono essere un’opzione efficace nel trattamento dei DCA, offrendo interventi mirati e tempestivi per i pazienti in difficoltà.
Le Terapie Brevi si concentrano su un intervento mirato e focalizzato, che spesso si svolge in un numero limitato di sessioni. Questo approccio non implica una terapia lunga e prolungata, ma piuttosto un intervento tempestivo e strategico per affrontare le problematiche specifiche dei pazienti. L’obiettivo è ottenere un cambiamento rapido e duraturo nel comportamento del paziente.
L’importanza della relazione
Un aspetto fondamentale nella terapia in generale, e nello specifico con questi disturbi, è la creazione di una buona relazione terapeutica.
I pazienti con DCA spesso affrontano sfide emotive complesse e possono avere difficoltà a fidarsi degli altri. Una relazione terapeutica positiva e empatica può aiutare a creare un ambiente sicuro in cui i pazienti si sentono confortevoli nell’esplorare e affrontare i loro problemi; favorisce la collaborazione e l’impegno del paziente nel processo di guarigione.
Quando i pazienti si sentono compresi, rispettati e supportati dal terapeuta, sono più propensi a partecipare attivamente alla terapia e ad adottare i cambiamenti necessari per il recupero.
La stessa, dove necessaria, è importante da stabilire anche con l’ambiente sistemico di riferimento (genitori) in modo da poter contare anche sulla loro collaborazione e cambiamento negli aspetti di vita più quotidiana.
Individuare le tentate soluzioni
Le “tentate soluzioni” si riferiscono ai comportamenti o alle strategie che i pazienti utilizzano per affrontare i loro problemi o le loro difficoltà. Questi comportamenti possono essere considerati come tentativi del paziente di trovare una soluzione ai loro problemi, anche se possono risultare inefficaci o persino dannosi nel lungo termine.
Nelle terapie brevi, l’obiettivo è identificare e comprendere queste tentate soluzioni per poi lavorare insieme al paziente per sviluppare alternative più efficaci e funzionali.
Ad esempio, nei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), le tentate soluzioni sono:
- Digiunare
- Vomitare
- Fare attività fisica esagerata
- Usare condotte compensative come i lassativi
- Restringere l’alimentazione
Il terapeuta potrebbe esplorare come questi comportamenti hanno origini nel tentativo del paziente di gestire ansia, stress o altre difficoltà emotive. Successivamente, il terapeuta lavorerà con il paziente per sviluppare nuove strategie più efficaci per affrontare queste difficoltà senza ricorrere a comportamenti dannosi per la salute.
Capire il Sistema percettivo reattivo
Il concetto di “sistema percettivo-reattivo” nelle terapie brevi si riferisce alla modalità in cui i pazienti percepiscono e reagiscono ai loro problemi o alle loro difficoltà. Questo sistema comprende i processi di percezione delle esperienze, dei pensieri e delle emozioni legate ai problemi, nonché le risposte comportamentali e emotive che ne derivano.
Comprendere il sistema percettivo-reattivo del paziente è fondamentale per identificare le sfide che il paziente sta affrontando e per pianificare un intervento terapeutico mirato. Il terapeuta lavora per esplorare e comprendere come il paziente interpreta le situazioni, quali significati attribuisce alle proprie esperienze e come queste percezioni influenzano i suoi comportamenti e le sue emozioni.
Per esempio l’anoressia per paura di prendere peso può restringere l’alimentazione.
Il Dialogo Strategico
L’origine della parola “dialogo” si trova nel greco “dia-logos”, che significa “intelligenza condivisa o scambio di intelligenze”. Dialogare implica quindi un processo di scoperta congiunta e di apertura della percezione verso una nuova realtà. L’obiettivo era far percepire all’altro che la conclusione raggiunta fosse il risultato di una scoperta personale piuttosto che di un’imposizione esterna.
Nel corso del tempo, il concetto di dialogo e le sue caratteristiche sono stati ampiamente studiati. A Milton Erikson si deve la prima formulazione di un approccio strategico alla psicoterapia, che includeva l’uso del linguaggio ipnotico. Carl Rogers introdusse il concetto di “mirroring”, una tecnica per creare empatia con il cliente, mentre Paul Watzlawick formulò il primo postulato della Pragmatica della Comunicazione, affermando che “non si può non comunicare”. Questi contributi hanno portato alla nascita dell’approccio strategico, il quale non si concentra sull’analisi del comportamento umano, ma sull’apprendimento di come le persone gestiscono e percepiscono la realtà attraverso la comunicazione con se stessi, gli altri e il mondo circostante.
Il terapeuta guida il cliente nella scoperta di nuove prospettive e nella costruzione di nuove realtà, facilitando così il cambiamento. La terapia diventa un processo di esplorazione congiunta, dove le domande sono strutturate per far percepire al paziente le cose in modo diverso, portando alla scoperta delle sue risorse interne. Cambiando la percezione del problema, si cambia la comprensione del problema stesso. Il dialogo strategico diventa quindi lo strumento principale della terapia strategica, rendendo le prescrizioni superflue quando utilizzato in modo appropriato e metodico.
Le componenti principali del dialogo strategico includono:
- Domande a illusione di alternativa, che sostituiscono gli autoinganni disfunzionali con quelli funzionali.
- Parafrasi ristrutturanti, utilizzate per verificare la comprensione del problema e aprire nuovi scenari.
- Evocazione di sensazioni attraverso l’uso di metafore o citazioni, per predisporre la persona verso una nuova consapevolezza.
- Riassunto per ridefinire, per consolidare gli effetti raggiunti e cambiamenti di prospettiva ottenuti.
- Prescrizione come scoperta congiunta, dove gli obiettivi concordati durante il colloquio vengono trasformati in compiti pratici da mettere in atto.
Le prescrizioni
Le prescrizioni rappresentano compiti specifici assegnati alla persona tra una sessione e l’altra, riguardanti comportamenti, emozioni, pensieri o atteggiamenti da mettere in atto in modo sistematico o in risposta a determinati eventi.
La comunicazione di tali prescrizioni riveste un’importanza cruciale, richiedendo un linguaggio efficace e persuasivo.
Le prescrizioni possono essere suddivise in tre tipologie in base al modo in cui vengono date: dirette, indirette e paradossali.
Le prescrizioni dirette: indicazioni chiare riguardanti azioni da compiere o evitare. Ad esempio, nella “congiura del silenzio”, il cliente viene esplicitamente invitato a non discutere del problema al di fuori delle sedute.
Le prescrizioni indirette: sono compiti che nascondono il loro vero obiettivo e mirano a superare le eventuali resistenze del cliente inducendolo ad agire secondo le indicazioni desiderate. Spesso presentate come ipotesi o suggerimenti, hanno lo scopo di generare un effetto diverso da quello dichiarato.
Le prescrizioni paradossali: consistono nell’invito a mettere in atto il comportamento problematico stesso, ossia la prescrizione del sintomo. Queste prescrizioni sono particolarmente efficaci con problemi spontanei e incontrollabili. Richiedere al paziente di eseguire volontariamente il comportamento problematico contrasta con la sua natura irrefrenabile, contribuendo a ridurne l’incidenza.
Altri aspetti importanti da tenere in considerazione nella terapia con i disturbi alimentari
- Il ruolo dei genitori: il coinvolgimento dei genitori è fondamentale per modificare alla base l’assetto familiare; infatti spesso i genitori sono complici del problema e mettono in atto delle tentate soluzioni- come parlare costantemente di cibo o sottolineare ciò che la figlia mangia o non mangia- quando si è constatato che renderli co-terapeuti e collaborativi li aiuta a divincolarsi dal doppio legame della figlia (lasciatemi morire di fame), bloccano le tentate soluzioni e smettono di essere manipolati, riappropriandosi del ruolo genitoriale.
- Evocare sensazioni: invece di limitarsi a dare semplici spiegazioni, bisogna suscitare sensazioni nella persona e metterla in connessione con il piacere, riattivando i sensi sopiti dall’astinenza. Il linguaggio ipnotico e suggestivo della strategica entra in gioco, costruendo con la persona una vera e propria fantasia rispetto al cibo, aggirando così le resistenze al cambiamento, modificando in parallelo le percezioni disfunzionali e creando avversione per gli stessi comportamenti patologici.
Le Terapie Brevi offrono un approccio efficace e efficiente nel trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare.
Attraverso interventi mirati e tempestivi, queste terapie possono aiutare i pazienti a superare i loro disturbi alimentari, promuovendo il benessere psicofisico e il recupero sostenibile. Spesso è richiesto un intervento multidisciplinare che vede coinvolti altri professionisti (nutrizionista, personal trainer, medico, etc) data la complessità di alcuni disturbi, che consente un intervento più specifico e su più fronti.
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Bibliografia
Watzlawick, P. (1991). Il linguaggio del cambiamento: elementi di comunicazione terapeutica (Vol. 59). Feltrinelli Editore.
Nardone, G., Portelli, C., Cambiare per conoscere: l’evoluzione della terapia breve strategica, TEA, Milano, 2015.
Watzlawick, P., Nardone, G. (1997). Terapia breve strategica. Milano: Raffaello Cortina Editore
Nardone, G., & Salvini, A. (2010). Il dialogo strategico: comunicare persuadendo: tecniche evolutive per il cambiamento. Ponte alle Grazie.