Il lavoro psicologico in emergenza si rivolge sia alle persone direttamente colpite da un evento catastrofico sia al personale coinvolto nella gestione dello stesso. Coloro che intervengono per primi nel corso di una emergenza, insieme ai sopravvissuti, sperimentano infatti una molteplicità di emozioni quali angoscia, disperazione, impotenza, ansia.

Uno degli obiettivi prioritari dell’intervento psicologico in emergenza è evitare il cronicizzarsi di stati di ansia e di comportamenti disfunzionali nell’individuo.

Il tempo in emergenza

Una riflessione importante va fatta rispetto alla variabile tempo, una discriminante fondamentale quando si lavora in emergenza. Ed ecco allora che le terapie brevi ci vengono in soccorso!

Se immaginiamo di essere chiamati ad intervenire come clinici nell’ambito di una emergenza, sarà facile intuire come le persone direttamente esposte all’evento catastrofico, con molte probabilità, avranno la possibilità di sottoporsi ad un singolo colloquio e per di più di durata variabile se consideriamo che il numero di utenti da supportare potrebbero essere molti.

Anche nel caso in cui fossimo chiamati ad intervenire a supporto dei soccorritori, l’intervento terapeutico dovrebbe essere pensato in modo tale da garantire a questi ultimi la possibilità di ottenere un contenimento emotivo e delle strategie utili in tempi brevi.

Prima si interviene e più rapidamente si aiuteranno le persone a contenere le emozioni e lo stress derivante dall’esposizione ad un evento catastrofico, maggiori saranno le possibilità di arginare manifestazioni cliniche importanti.

Quindi quando si lavora in emergenza è importante fare bene ma fare presto!

Il colloquio in emergenza

Il clinico che si appresta a condurre un colloquio in un contesto di emergenza deve dotarsi di una scaletta mentale. Essa deve essere flessibile, adattabile alla persona che abbiamo di fronte e fatta di passi semplici ma concreti.

Tale modalità di intervento permette al clinico di non disperdere le proprie energie alla ricerca di contenuti che esulano dalla condizione emergenziale. Al contempo consente all’utente di sentirsi contenuto e guidato. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza soprattutto se consideriamo gli elevati livelli di confusione e smarrimento sperimentati da potenziali vittime e/o sopravvissuti ad eventi catastrofici.

I passi da seguire

Di seguito mettiamo in evidenza alcuni dei passi fondamentali per la conduzione di un colloquio di terapia breve in emergenza:

  1. Definizione di un obiettivo preciso: significa concordare una meta insieme al paziente. Nello specifico ci si riferisce a ciò che deve essere raggiunto al termine dell’incontro. In tal senso potrebbe essere utile chiedere alla persona “Qual è l’obiettivo che vorrebbe raggiungere per la fine di questa seduta?”. Facciamo in modo che l’obiettivo concordato sia concreto e  misurabile. L’individuazione di un obiettivo astratto potrebbe essere fonte di ulteriore confusione per la persona.
  2. Valorizzazione delle risorse: è molto importante aiutare la persona ad uscire dalla condizione di “vittima”, condizione tipica in emergenza. Ancor di più ciò è vero quando la persona che abbiamo di fronte viene ascritta nel ruolo di vittima ma in realtà non si sente affatto tale. Chi sopravvive ad eventi traumatici e/o catastrofici è dotato di grandissime risorse personali. Compito del terapeuta è aiutare la persona a vederle. Lo si può fare chiedendo: “Cosa l’ha aiutata nel superare questa situazione?”. E ancora “Quali aspetti di sé le hanno dato la forza di sopravvivere/andare avanti/non arrendersi?”.
  3. Riformulazione: è importante condurre costanti e precisi check-in nel corso del colloquio così da assicurarci che la strada percorsa è quella giusta. Chiedere conferma di quanto la persona ci ha detto, utilizzando le sue parole, potenzia l’alleanza terapeutica e danno all’utente la percezione di essere realmente ascoltati e compresi.
  4. Compiti terapeutici: suggeriamo al terapeuta di assegnare sempre dei compiti a fine seduta, che siano proposti da noi o dal cliente. Il compito deve essere pertinente ai contenuti emersi nel colloquio. Il fatto che il paziente può eseguirlo al di fuori del contesto d’emergenza lo aiuta a portare la terapia oltre quell’ incontro, ampliando così i benefici che possono derivare dallo stesso.

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Simonetta Bonadies
Psicologa, Psicoterapeuta
Team dell’Italian Center for Single Session Therapy

 

 

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Bibliografia

  • F. Cannistrà, F. Piccirilli (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti editore.
  • F. Frati, B.Rozzi, A. Torsello. Gli interventi psico-sociali in emergenza: un’analisi teorica e operativa del modello europeo e internazionale. Rivista di Psicologia dell’emergenza e dell’assistenza umanitaria , num. 6 anno 2001.