[Il caso clinico in questione NON è reale. Si tratta di un esempio che prende spunto da più situazioni modificate e rese irriconoscibili]

In questo articolo parliamo di Alessandra (nome di fantasia), una donna di 34 anni che vuole disinnescare il meccanismo paradossale che la blocca.

T:”Buongiorno Alessandra. Raccontami, cosa ti porta qui oggi?”

Alessandra inizia a raccontarmi la sua storia. Esordisce dicendo che per essere più efficace si è scritta una breve presentazione “per essere sicura di risultare chiara ed esaustiva, senza però tralasciare aspetti importanti.”

Circa tre/quattro minuti per parlarmi di sé, raccontarmi della sua quotidianità, il lavoro e la famiglia, qualche accenno alla mamma e agli amici e poi entrare nello specifico del problema che la porta in seduta.

Da qualche anno la mole di lavoro di cui deve farsi carico in azienda è aumentata a causa delle problematiche economiche relative al COVID. Per cercare di portare a termine tutto il lavoro che gli è stato assegnato e quindi per poter essere più efficace sul lavoro, ha iniziato a studiare e partecipare a corsi sulla gestione del tempo e sull’organizzazione delle attività da svolgere.

Con il tempo, però, questo si è trasformato in una ricerca continua e ossessiva della migliore strategia da utilizzare in ambito lavorativo.

Tanto che, a volte, mentre sta facendo un’attività, si distrae chiedendosi se quella è la strategia giusta da adottare in quel caso, interrompe il lavoro e va alla ricerca di una strategia migliore.

Di solito, a questo punto, prova almeno tre o quattro strategie fino a quando non si rende conto che è tardi e, solo a quel punto, cede e si adatta per portare a termine il compito.

La lascio parlare liberamente, sia per restituirle quel senso di accoglienza fondamentale per la creazione dell’alleanza terapeutica, che per permetterle di dare sfogo alla sua agitazione.

È chiaro il suo impegno nel descrivere non solo il problema ma anche in che modo influenza la sua quotidianità.

Non mi stupirebbe sapere che ha impiegato molto tempo per scrivere la sua presentazione e che ha valutato attentamente se inserire o meno ogni elemento.

È chiaro anche il peso che questa situazione le poggia sulle spalle.

Il racconto, che scorre fluido ma denso di informazioni, parla di una persona schiacciata e sopraffatta dalle sue stesse azioni.

Man mano che parla il suo atteggiamento e il tono variano.

A tratti è giudicante ed esigente verso se stessa, a tratti invece è più consapevole e sicura, tuttavia quello che trasmette in realtà è un costante e profondo senso di impotenza.

Conclude la sua presentazione con queste parole: “In poche parole mi sento bloccata.  Sono perfettamente consapevole che tutto quello che faccio non mi aiuta nell’ottenere quello che voglio, anzi al contrario mi allontana dal mio obiettivo, ma non so cosa fare di diverso. E se nemmeno la consapevolezza di ciò che faccio può aiutarmi cosa rimane?”

Per un attimo l’ultima domanda resta in sospeso nell’aria, come ad occupare lo spazio che ci divide e, per un attimo, anche io mi sento bloccata e congelata dalle emozioni che lei mi porta.

E glielo dico.

Normalizzo il suo vissuto e le emozioni che prova. Accolgo il suo senso di sconforto e le sorrido dicendole: “Ha ragione a sentirsi così! È così che ci si sente quando non si hanno vie d’uscita!”

“E quindi cosa faccio?” Mi chiede guardandomi negli occhi, ma questa volta sorridendo.

Mi rendo conto, guardandola e facendo caso al tono della sua voce, che tutta l’agitazione e la carica che prima l’avevano portata a parlare senza sosta del problema ora non c’è più.

Come se parlando del suo vissuto con qualcuno si fosse sfogata e, sentendosi compresa, avesse potuto per un momento lasciare andare il peso che portava con sé.

“Tu cosa vorresti?” Le chiedo

“Vorrei riuscire a fare le cose. Vorrei trovare la strategia migliore e quindi riuscire a fare le cose senza interrompermi ogni volta!”

Mi risponde con un tono infastidito, come se fossero le sue stesse azioni ed infastidirla.

T:”E cosa ti farebbe dire che quella è la strategia migliore?”

P:”Questo è il problema! Ci sono così tante possibilità e strategie che non so mai qual è quella migliore e quindi continuo a cercare! E questo mi fa solo perdere tempo e mi rende inefficace!”

T:”Quindi, dimmi se ho capito bene… Mi stai dicendo che cercando il modo di essere più efficace, cerchi tra tutte le strategie e le tecniche possibili. Questo ti impegna del tempo e, al contrario di ciò che vorresti ottenere, ti rende inefficace! Come un corridoio rotondo che, ogni volta che lo percorri, ti riporta esattamente al punto di partenza!”

P:”Esatto! Ma questo già lo so, solo che la consapevolezza non mi aiuta! Perché non riesco a trovare un modo per uscire da questo corridoio! È per questo che dico che la consapevolezza non mi aiuta!”

Il suo tono è di nuovo nervoso carico del suo vissuto d’impotenza.

Avendo identificato il problema e il suo funzionamento, decido di indagare le eccezioni al problema.

Le chiedo se è mai successo che riuscisse a portare a termine un compito senza disperdersi alla ricerca delle strategie.

Inizialmente mi dice di no. Perché mi dice che è una cosa che fa sempre, ogni giorno, per ogni cosa che deve fare.

Poi si ferma un attimo e mi dice che, in realtà, quando si rende conto che il tempo è poco e che rischia di non finire ciò che deve fare allora mette da parte le tecniche, si concentra semplicemente sul lavoro da fare e lo porta a termine. Ogni volta.

“Quindi alla fine non sei così inefficace” le dico per dare ancora più valore a quel senso di sicurezza e pace che inizia a fare capolino tra i suoi pensieri.

“A quanto pare no!” Mi dice sorridendo di nuovo.

Ma subito si incupisce e dice “ma comunque perdo tanto tempo prima!”

T:”Giusto! Ma, se ho capito bene, quel tempo sprecato alla fine non influisce sulla qualità e la quantità del lavoro che porti a termine, giusto?”

Ci pensa e dice: “Alla fine no! Quello che devo fare lo faccio e lo faccio bene!”

T:”Ok, quindi credo che dobbiamo un attimo rivedere il tuo obiettivo. Perché alla domanda -Che cosa vorresti ottenere?- hai detto che vorresti trovare la strategia migliore e riuscire a fare le cose senza interromperti ogni volta. Ma mi hai anche detto che è esattamente quello che fai quando smetti di andare a cercare la strategia migliore. Quindi forse il tuo vero obiettivo in questo momento è smettere di andare alla ricerca della strategia migliore.”

Mi guarda senza rispondere.

“A cosa stai pensando?” Le chiedo.

“Stavo pensando a tutte le cose che faccio ogni giorno. Non mi ero resa conto che fossero così tante! Finora pensavo che cercare la strategia migliore fosse fondamentale per essere efficace. Invece ora mi rendo conto che è esattamente il contrario! Questo pensiero mi sembra assurdo, ma è vero!”

T:”A questo punto ti faccio una domanda. Secondo te, se la ricerca della strategia migliore non ti serve ad essere efficace, a che cosa ti serve? Quale funzione credi che svolga per te?”

P:”Fino ad ora pensavo che servisse solo ad essere efficace. Non credevo mi servisse ad altro.”

T:”Ma abbiamo appena visto che questo era solo una maschera perché in realtà non ti serve ad essere efficace. Quindi qual è la sua reale funzione?”

P:”Non lo so” dice con voce incerta

T:”Prova a pensare al momento in cui stai facendo le cose. Sei concentrata sul compito, ma ad un tratto ti arriva il pensiero che forse quella non è la strategia più efficace. Che emozione stai provando in quel momento?”

P:”Paura. Ho paura di non fare in tempo e mi sale l’ansia di non riuscire a fare quello che devo fare”

T:”E quindi cosa fai?”

P:”Inizio a mettere in dubbio la strategia e a cercarne un’altra più efficace”

T:”Quindi in realtà a quale emozione stai rispondendo?”

P:”All’ansia!”

T:”Esatto! Cercare la strategia più efficace ti aiuta a…”

P:”…mi aiuta a gestire l’ansia di non riuscire a fare in tempo!”

T:”Esatto! Come quelle palline antistress che si usano per calmarsi!”

P:”Non l’avevo mai vista in questo modo, è davvero sconvolgente!”

Mi guarda con gli occhi illuminati dalla semplicità di questa nuova consapevolezza.

T:”Quindi dimmi se questo ti risuona. In realtà quello che fai è concentrarti sul lavoro. Dopo un po’ ti arriva la paura di non fare in tempo e porta con sé l’ansia di non riuscire a fare tutto. A questo punto, come una pallina antistress, inizi a cercare di trovare la strategia migliore, non per trovarla realmente, ma semplicemente per calmare la tua ansia. Quando poi ti accorgi che è troppo tardi, l’ansia è diminuita e semplicemente ti metti al lavoro finendo quello che stai facendo. Ti sembra realistico?”

P:”Sì, assolutamente! Anche se non l’avevo mai vista in questo modo prima!”

T:”Secondo te questa nuova consapevolezza in che modo ti è utile?”

P:”Sicuramente perché non mi sento più così sbagliata! Nel senso che adesso che so che lo faccio per gestire l’ansia, non mi sembra più una cosa così sbagliata e quindi anche io mi sento meno sbagliata. Non so se mi spiego!”

T:”Sì, è chiaro! Cos’altro? In quale altro modo può esserti utile?”

P:”Probabilmente perché non mi servirà più cercare senza fine.”

T:”Aiutami a capire, stai dicendo che potresti anche utilizzare questa pallina antistress per un po’ e poi fermarti quando non serve più e continuare a lavorare?”

P:”Sì, esatto! Mi sembra stupefacente, ma sento di poter decidere io se farlo e per quanto tempo. È veramente una consapevolezza rivoluzionaria!”

T:”Quindi pensi che domani, tornando al lavoro, potresti da subito mettere in pratica questa nuova prospettiva? Decidendo tu quando e per quanto tempo utilizzare questa pallina antistress?”

P:”Sì, penso che potrei decisamente farlo!”

T:”E pensi che questo potrebbe fare la differenza?”

P:”Assolutamente! Penso di sì! Perché mi permetterebbe di decidere anche quanto tempo dedicare al lavoro!”

A questo punto è chiaro che aver ristrutturato l’obiettivo ha permesso di identificare più chiaramente il problema e ideare quindi una strategia semplice e concreta da poter mettere in pratica.

Alessandra sembra euforica per la nuova consapevolezza raggiunta.

Ricapitolo quindi tutto il percorso prima di concludere la seduta.

T:”Quindi ricapitolando. Sei venuta qui oggi perché ti rendevi conto che mettevi in atto una serie di comportamenti, in particolare quello della ricerca ossessiva di una strategia efficace, che avevano di fatto il risultato di non renderti efficace, ma anzi di farti perdere tempo.

Ma questa consapevolezza non era abbastanza per permetterti di non farlo più.

Andando ad indagare le eccezioni al problema, abbiamo capito che in realtà tu sei efficiente sul lavoro perché fai quello che devi fare e lo fai anche bene!

Il nodo sembrava essere questa fase centrale nella quale, mettendo in dubbio la strategia utilizzata, andavi alla ricerca di una strategia più efficace, senza però mai riuscire a trovarla!

Parlandone abbiamo messo a fuoco il funzionamento di questo meccanismo: anche se apparentemente il tuo scopo sembrava quello di trovare una strategia efficace, in realtà la sua vera funzione era quella di aiutarti a gestire l’ansia che provavi.

Questa consapevolezza ti ha permesso di riprendere il controllo delle tue azioni per poter gestire questi momenti!”

Alessandra annuisce in silenzio sorridendo per tutto il tempo.

T:”C’è altro che vuoi aggiungere prima di salutarci?”

P:”No! È perfetto così!”

Nel feedback due settimane dopo Alessandra conferma la riuscita della seduta.

La consapevolezza le ha permesso di cambiare il giudizio negativo che aveva di se stessa.

Tanto che ha riorganizzato il suo lavoro in maniera più flessibile e si è concessa di utilizzatore la sua “pallina antistress” al bisogno, senza che questo la faccia sentire più inefficace sul lavoro.

Come effetti collaterali positivi il suo umore al lavoro è totalmente cambiato. Ora è felice e soddisfatta e il clima in ufficio è migliorato sensibilmente, tanto che ha organizzato una cena con i colleghi la prossima settimana.

 

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Bibliografia

Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2018). Terapia a Seduta Singola: Principi e pratiche. Giunti Editore.