[Il caso clinico in questione NON è reale. Si tratta di un esempio che prende spunto da più situazioni modificate e rese irriconoscibili]

F. ha 43 anni è una sarta e lavora in un negozio nella città dove abita da sempre. Vive con il figlio di 15 anni dopo una burrascosa separazione.

Viene nel mio studio lamentando un problema legato alla gestione del figlio, un sostegno alla genitorialità mi esprime in questi termini la sua richiesta, ma in questo contenitore si nascondono una serie di richieste di aiuto su diversi fronti.

Entra con uno sguardo apparentemente calmo, ma nei suoi grandi occhi blu si intravede una carica di grande insicurezza, ha desiderio di raccontarsi.

Vorrebbe mettere ordine nella sua vita, a partire da suo figlio e inizia proprio con un episodio che lo ha coinvolto di recente. Suo figlio che non aveva mai dato problemi a livello caratteriale e a scuola viene associato con un gruppo di coetanei a un episodio di bullismo e quindi viene sospeso.

Proprio in quei giorni in cui F. mi ha chiamato, il figlio per la prima volta ha manifestato un comportamento aggressivo e violento verbalmente e questo la ha letteralmente allarmata e l’ha rimessa in discussione dal punto di vista educativo; tutto le ricorda molto il suo ex marito e le modalità che le ha sempre riservato nel loro matrimonio.

Mi racconta che sta attraversando un periodo di grandi cambiamenti, si è separata oramai da anni, cinque per l’esattezza, ma è stata una lenta e dolorosa separazione da un uomo sempre poco accudente, ed è stato come uno stillicidio.

Ha appena cambiato lavoro e si sente completamente sopraffatta dagli eventi.

La separazione da un lato in realtà ha creato in lei un forte desiderio di libertà ed autonomia che le era sembrata sempre lontana e irraggiungibile, ma le ha dall’altro portato anche un carico di ulteriori responsabilità, nonostante sia aiutata dai genitori e appoggiata dagli ex suoceri.

È un fiume in piena, la ascolto con comprensione e la accolgo in tutta la sua fragilità.

Mi parla molto del suo cambio lavorativo, un passo difficile da ipotizzare e attuare ma ineluttabile, anche in quel contesto si racconta vittima di angherie e di sopraffazioni continue da parte della vecchia titolare, dopo anni passati in modo passivo ha deciso di scegliere un lavoro a sua detta di minor prestigio ma con possibilità di crescita, un lavoro più tranquillo, più vicino a casa e più regolare nei turni e nella retribuzione.

“Mi sento schiacciata da tutto e tutti e mi sento sempre in difetto”.

Mi sembra di capire che la sua più grande difficoltà sia quella di non riuscire ad affermare i suoi bisogni, di non riuscire a soddisfare le sue esigenze, di non trovare il suo spazio: per vivere una nuova storia e, ad esempio, per gestire la convivenza con il figlio.

La lascio parlare, mi dice che era da molto tempo che voleva rivolgersi a un terapeuta e avere uno spazio tutto per sé, alterna momenti in cui sembra più rassicurata a momenti in cui la vedo smarrita anche nella stanza, le sembra quasi impossibile che si sia ritagliata quel contenitore di tempo solo per prendersi cura del suo benessere.

Approfondiamo ancora un po’ il problema portato e cerchiamo poi di definire l’obiettivo della seduta.

Ho ascoltato tutto senza interromperla, ho preso appunti come sono solita fare nel mio blocco, le racconto della terapia a seduta singola e le dico come anche con una sola seduta si può risolvere un problema e che sarà lei a decidere se vorrà poi proseguire con una seconda seduta alla fine dell’incontro o fermarsi.

Chiedo ad F. su cosa vuole concentrarsi, quale sarà l’obiettivo del nostro incontro.

“Sono molto insicura su tutto, come madre, sulla mia immagine come professionista, come dipendente, come moglie e come compagna…non so più che donna sono o che donna vorrei essere o forse non lo ho mai saputo, sempre lì a lavorare per sbarcare il lunario, a riparare alle emergenze, a proteggere mio figlio”

Aggiunge incalzandomi come se avesse avuto un momento di insight improvviso: “io non riesco a dire di no, ecco sì è questo il punto: non so come dire di no”.

Le chiedo ancora una volta su cosa pensa ci dobbiamo concentrare per rendere quella seduta utile per lei: “in che cosa posso esserti utile, su quale cosa vuoi concentrarti di più, che cosa ti farebbe dire che il nostro incontro è stato utile oggi?”

Mi dice “voglio dire dei no, voglio mettere dei confini, io non voglio fare delle cose e non voglio più sentirmi in obbligo di farle, non voglio più essere in balia degli altri”.

Si emoziona mentre lo dice e scoppia a piangere in un pianto liberatorio e il suo sguardo cambia.

Le rimando dopo averle ridefinito ciò che ho compreso di tutta la situazione che sta affrontando contemporaneamente una serie di situazioni importanti: “vivi con un adolescente sola, hai affrontato una lenta e dura separazione fatta di offese e dolore, hai cambiato lavoro e stai frequentando una persona che dici essere importante ma che non sai come gestire bene con tuo figlio e stai iniziando una attività diversa dalla precedente. Come se non fosse abbastanza i conti da pagare, i debiti da sanare, stai affrontando tutto insieme”. Le ricordo l’episodio che mi aveva detto all’inizio della nostra conversazione, in cui nonostante le enormi paure e la forte ansia sta guidando nuovamente la macchina da casa sua che dista 40 km dalla città, pur di portare a termine gli impegni con il vecchio lavoro, pur di chiudere tutte le ultime scadenze.

Le sottolineo le risorse che ha messo in campo solo nell’ultimo anno e le faccio i complimenti per questi traguardi raggiunti, li sottolineo uno ad uno e mi fermo su ognuno di loro pesando le parole che dico, lasciando tempo a lei di riflettere e contemporaneamente di visualizzarli.

Le dico “ti faccio i miei complimenti per come sei riuscita a trovare la forza per uscire da queste situazioni sei una donna forte, una leonessa” riprendo la bella immagine che aveva usato all’inizio legata al mondo animale e le dico che nella sua situazione sicuramente ha avuto una resilienza non comune.

A questo punto mi dice “vorrei iniziare a dire un primo no subito, non posso più aspettare e lo voglio dire al mio vecchio datore di lavoro”. Mi racconta che nonostante abbiamo terminato il rapporto di lavoro, vogliono coinvolgerla in altre situazioni e in un certo senso incastrarla ancora in una collaborazione che da un lato non solo le farebbe distogliere l’attenzione dal nuovo, ma la farebbe anche ripiombare in una situazione di oppressione “mi sento come in una morsa, tornare lì per un nuovo seppur breve lavoretto, anche se solo per pochi giorni mi fa sentire male, sudo, ho le palpitazioni”.

Le dico “Quindi lavoreremo sull’imparare a dire di no”, lei sorride ora distesa con un sorriso pieno.

Le chiedo come si immagina questa scuola del no.

“Come potresti imparare a dire di no?” le chiedo.

Mi risponde dicendo “non so, ma forse potrei intanto prepararmi alla situazione e quindi prima di rispondere a un messaggio o a una chiamata che è inaspettata e non è gradita dove so che possono chiedermi cose che non voglio fare, potrei prepararmi un discorso e ripeterlo dentro di me o scriverlo prima di rispondere, perché il mio istinto mi dice subito di dire sì, non penso, non ragiono. Sai io metto subito il turbo per prendere le fregature e dico subito di sì, invece potrei…potrei prendermi tempo per riflettere e studiare una strategia.

“E studiare la strategia come potrebbe esserti utile?”

F: “credo che se mi preparo, posso fare la mossa giusta, più studiata …come quando si va in guerra e mica lì si parte così senza prendere le armi, scegliere gli abiti giusti, preparare una attrezzatura completa, senza avere una mappa e le informazioni”.

“E cosa potresti fare?”

“Potrei scrivere intanto nel mio momento di riflessione una bella lista dei pro e dei contro rispetto alla situazione e alla richiesta e poi ecco cosa potrebbe aiutarmi: posso creare dei post-it e metterli un po’ per tutta casa con dei no giganti di tutti i colori.

Ride con un sorriso ancor più pieno e contagioso, sorrido anche io.

Le dico: “Quindi mi stai dicendo che se prima fai una valutazione dei pro e dei contro te li scrivi e te li studi e a quel punto puoi riflettere su cosa dire, ti prendi tempo e questo potrebbe già esserti di aiuto per dire dei no? “

“Sì”

“Ottimo, mi sembra che hai individuato una strada, una soluzione, credi che per il momento sia sufficiente quello che abbiamo detto?”

“Sì mi sento come libera, anche solo nel pensarlo, avevo bisogno di buttare fuori tutte queste cose, mi stavano facendo sentire schiacciata, mi sentivo come sotto una pressa, e adesso mi sento libera come se avessi spostato un peso dallo stomaco”.

Concludo dicendole: “E’ stata una bella seduta in cui mi hai raccontato tanto di te e chiudo il nostro incontro dicendoti che la mia porta per te è sempre aperta e se vuoi, puoi tornare per un secondo appuntamento tra 15 giorni”

Mi risponde “Voglio iniziare a mettere in atto da domani questa nuova strategia del no, per ora vorrei sperimentarla in alcune situazioni, capire se funziona e mi fermerei qui”.

“Ci sentiamo comunque per un check per sapere come vanno le cose tra tre settimane e mi aggiornerai. Ti ringrazio, sei forte e coraggiosa tienilo sempre presente”

“Ringrazio io te” esce dalla stanza con un sorriso bello e chiude la mia porta.