Steve de Shazer, uno dei più importanti esponenti della Terapia Breve e il padre fondatore della Terapia Breve Centrata sulla Soluzione, ha formulato alcuni principi cardine che gettano le basi filosofiche dell’approccio (de Shazer, 1989. de Shazerat al. 2007).

Tali principi influenzano il modo di praticare questa forma di terapia breve e rappresentano delle vere e proprie direttive per rendere l’intervento più efficace.

È da tenere presente, inoltre, che questi sono validi sia per i comportamenti del cliente sia per le azioni del terapeuta stesso, che talvolta tende a cadere nella trappola di insistere nell’applicare un determinato metodo o strategia per restare aderente in modo rigoroso ad una teoria, senza però vederne l’efficacia.

Di seguito verranno illustrati in primis i 3 principi formulati nel 1989, a cui hanno fatto seguito ulteriori riflessioni ed evoluzioni.

Se non è rotto, non aggiustarlo

Il primo dei tre principi di de Shazer è volto a superare il punto di vista di alcuni approcci terapeutici in cui si è soliti considerare anche quegli aspetti di un problema che non sono riportati direttamente dal cliente ma dedotti dal terapeuta.

È il caso, ad esempio, di quei modelli che partono dal presupposto che ci siano elementi da aggiustare o correggere, come l’uso di categorie diagnostiche o l’individuazione dei presunti conflitti interiori non risolti o ancora delle problematiche latenti che andrebbero affrontate ad ogni costo.

Nella Terapia Breve Centrata sulla Soluzione, invece, si parte dal presupposto che se il paziente non riporta alcune difficoltà o problematica è perché queste sono state già risolte, o si hanno le risorse per farlo o ancora non rappresentano in quel momento un problema da affrontare.

Il terapeuta, dunque, semplicemente non dovrebbe occuparsene, evitando di proporre al paziente di lavorare su qualcosa che a lui non interessa.

Questo ovviamente non implica evitare del tutto di affrontare quelle questioni più rischiose, sulle quali invece è necessario o inevitabile intervenire.

Se qualcosa funziona, fallo di più

Il secondo dei 3 principi di De Shazer si traduce di fatto nella sintesi massima del suo pensiero e si ricollega al principio di “amplificazione”, ovvero l’importanza di rafforzare ed espandere quello che funziona o ha già funzionato in passato.

Per il terapeuta che applica il modello della Terapia Breve Centrata sulla Soluzione questo implica l’incoraggiare le soluzioni già identificate come efficaci e funzionali messe in atto dal paziente, in altre parole lavorare sulle eccezioni al problema.

Quello che funziona potrebbe essere quindi applicato nuovamente e il paziente andrebbe esortato a farlo sempre di più, magari attraverso alcuni compiti o esperimenti prescritti durante le sedute o qualcosa che emerge nel dialogo tra terapeuta e paziente.

Se non funziona, fai qualcosa di diverso

In base alle premesse di cui sopra diventa cruciale focalizzarsi sulle cose che stanno funzionando, anziché insistere su ciò che non va e che non funziona e questo è il terzo principio originale di de Shazer.

Tra gli scopi della Terapia Breve Centrata sulla Soluzione c’è infatti anche quello di individuare le strategie disfunzionali, ovvero quei tentativi di risoluzione del problema che anziché risolverlo lo rendono immutato o addirittura lo peggiorano.

Queste vanno bloccate e interrotte per tentare qualcosa di diverso, concentrandosi su una strada differente.

Questo è possibile anche perché il mindset del terapeuta in questo approccio è orientato alle risorse già esistenti nel paziente e c’è quindi grande apertura nel coltivarne di nuove e più funzionali.

L’evoluzione dei principi, alcune integrazioni

Con l’avanzare degli anni di pratica clinica e ricerche, ai primi 3 principi se ne sono aggiunti altri elaborati sempre da de Shazer et al. (2007) ugualmente importanti per la pratica di questo approccio.

Iniziamo dal principio secondo il quale piccoli passi possono portare a grandi cambiamenti.

Trattandosi di un approccio minimalista, anche la più piccola modifica per l’effetto valanga può generare un’altra serie di cambiamenti e portare gradualmente il paziente verso l’obiettivo desiderato.

Sempre parlando di cambiamento, è cruciale considerare che questo si realizza lavorando sulle soluzioni, facendoci descrivere accuratamente dal paziente lo scenario oltre il problema anziché il problema in sé.

Questo perché la soluzione non è necessariamente correlata al problema e anzi un’analisi troppo accurata dello stesso rischia di tardare gli effetti positivi desiderati.

Attenzione al linguaggio

Proseguendo il confronto tra focus sul problema e focus sulla soluzione è importante soffermarsi anche sulle differenze tra i linguaggi ad essi associati (problem talk vs solution talk).

Il linguaggio per descrivere il problema si concentra su ciò che ora è sbagliato e che non funziona, ed è senz’altro diverso da quello utilizzato per ricercare la soluzione, che punta a concetti più positivi e di stimolo per il paziente.

Nella Terapia Breve Centrata sulla Soluzione il terapeuta riporterà sempre il paziente sul solution talk attraverso domande che mirano ad indagare le risorse già in possesso e gli obiettivi da raggiungere.

Nella gestione del dialogo con il paziente, il terapeuta deve essere attento a cogliere quei segnali e quelle situazioni in cui il problema non c’è stato, ovvero le eccezioni.

Questo perché nessun problema si verifica costantemente e le eccezioni possono essere utilizzate per rafforzare le risorse del paziente, affidandogli dei compiti che mirano a fargli fare sempre di più quello che funziona.

In ultimo, si ritiene che il futuro sia creabile e che il paziente sia artefice e costruttore del proprio destino anziché essere semplicemente condizionato dal suo passato e dalla sua diagnosi.

 

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Rifermenti bibliografici

F.Cannistrà-  F.Piccirili (2021) –  Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Principi e Pratiche – EPC Editore

https://www.terapiacentratasullasoluzione.it/terapia-breve/terapia-breve/

sito consultato in data 19/10/2022