Eh sì, spesso il microfono scotta. E non solo.

Cos’è la paura di parlare in pubblico? E’ quel nodo alla gola, il respiro corto e affannato, le mani sudate e il cuore che batte fortissimo. Il palco aspetta, il microfono fischia e l’unico pensiero coerente è “scappare”.

Dicono che la paura di parlare in pubblico sia anche più forte della paura della morte, che sia la prima paura dell’essere umano e in effetti forse è proprio così perché sembra a volte proprio quasi di morire. Non importa quante volte lo hai già fatto, ogni volta è un’emozione unica direttamente proporzionata a una serie di fattori che sono la preparazione, lo stato d’animo, quanto è prestigioso il palco, quanto è importante e coinvolgente per te il contenuto che porti.

Ricordo ancora la prima volta che mi sono trovata davanti a un pubblico abbastanza vasto da riempire un auditorio e alla necessità che ho provato di aggrapparmi al leggio perché le gambe si ostinavano, mio malgrado, a tremare così forte da farmi cadere.

Cos’è la “glossofobia”

La paura di parlare in pubblico prende il nome di glossofobia, e rientra tra le forme che assume la fobia sociale. Come ho descritto sopra la paura si manifesta soprattutto attraverso sensazioni di ansia e panico, ma anche attraverso un’eccessiva sudorazione e l’incapacità di proseguire con il discorso, associata a vertigine, vergogna o imbarazzo che seppur normali possono ostacolare la prestazione attesa.

I problemi dei pazienti

Quando a questo vissuto appena descritto si associano esperienze legate a situazioni imbarazzanti o problematiche che si sono verificate durante uno speech o una presentazione gli esiti possono essere definiti traumatici e paralizzanti. Alcuni pazienti riferiscono di aver avuto problemi di stomaco o intestinali, altri hanno riferito di aver iniziato a balbettare, qualcun altro ha avuto un vuoto mentale ammettendo di non ricordare più nulla. Il momento è stato così orribile da minare la propria sicurezza e la confidenza nelle proprie capacità tale da impedire ulteriori esposizioni.

Inoltre, molte persone affermano che il problema principale riguarda l’ansia anticipatoria che compromette il sonno e riempie la mente di immagini catastrofiche rispetto a quello che potrebbe accadere nel momento in cui bisogna realizzare la performance.

In comune hanno tutte il timore della brutta figura del giudizio della platea e del disconoscimento sociale ad esso correlato.

Le tentate soluzioni

Le principali strategie inefficaci utilizzate dalle persone sono quelle di sottrarsi sistematicamente a qualsiasi situazione che possa esporli a questo tipo di esperienza. Impegni improvvisi, malori, dinieghi: tutto viene studiato per non mettersi nelle condizioni di sopportare un tale supplizio.

Molte sono le strategie suggerite a chi si approccia e si prepara ad un public speaking: esercizi di dizione con la matita tra le labbra, declamazioni davanti allo specchio per provare il proprio discorso o videoregistrazioni; percorrere e ripercorrere con la mente il proprio discorso fino ad impararlo a memoria.

Nella logica delle terapie brevi queste soluzioni rappresentano delle azioni che seppur possono in un primo momento calmare il soggetto, nel lungo periodo continuano a instillare nella mente della persona il dubbio che non ce la possa fare e che abbia quindi bisogno di prepararsi e prepararsi e prepararsi perdendo di fatto spontaneità e concentrazione indispensabili a qualsiasi bravo comunicatore.

L’intervento in terapia breve

Il lavoro svolto nell’intervento di terapia breve consiste appunto nell’identificare le soluzioni disfunzionali o le tentate soluzioni che messe in campo più e più volte vanno di fatto a sostenere il problema anziché risolverlo.

Al contrario di lavoro è quello di aiutare la persona attraverso l’utilizzo di prescrizioni appositamente strutturate. Ad esempio per contrastare l’ansia anticipatoria un esercizio che può essere assegnato è quello della peggiore fantasia, sviluppata da G. Nardone.

Come funziona la peggiore fantasia?

Si chiede alla persona di ritagliarsi ogni giorno un tempo prestabilito per portare alla mente tutte le peggiori fantasie in merito alla propria paura immaginando che si avverino tutti i timori e le paure legate alla performance che dovrà sostenere, sforzandosi di provare ansia. Si tratta di una tecnica paradossale perché anziché cercare di rassicurare la persona, ci si muove nella direzione esattamente opposta.

La peggiore fantasia si basa sul principio per il quale “la paura guardata in faccia si trasforma in coraggio, la paura evitata diventa timor-panico”, principio confermato anche dalle neuroscienze.

Secondo le ricerche che sono state condotte dal Centro di Terapia Strategica di Arezzo, la terapia breve strategica ha un tasso di efficacia del 95% per quanto riguarda la risoluzione dei disturbi fobici e ansiosi, tra i quali rientra anche la paura di parlare in pubblico.

La tecnica di solcare il mare all’insaputa del cielo

E’ la prima dei 13 stratagemmi contenuti nei testi “Cavalcare la propria tigre” e “Solcare il mare all’insaputa del cielo”. Esso si basa sul criterio non ordinario di provare a spostare l’attenzione del soggetto da quello che si vuole ottenere – la prestazione di public speaking –  ad altro che catturi l’attenzione e renda possibile ciò che fino a quel momento non è stato possibile.

Nel caso della fobia di parlare in pubblico il problema è rappresentato dall’estrema attenzione della persona su se stessa e su quanto deve dire e fare. In questo caso è utile dare indicazione alla persona di prestare attenzione ad aspetti irrilevanti, presentati però come fondamentali per la buona riuscita dello speech, o ad indicazioni che costringono la persona a concentrarsi su alcuni dettagli a scapito del timore principale che a quel punto diventa marginale.

E il microfono non scotta più.

 

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Riferimenti bibliografici

G.Nardone – Cavalcare la propria tigre – Ponte alle Grazie Edizioni

G.Nardone – Solcare il mare all’insaputa del cielo. Lezioni sul cambiamento terapeutico – Tea Edizioni