La Terapia breve centrata sulla soluzione è senza dubbio il modello di terapia attualmente più studiato, non solo perché ha rappresentato una vera e propria rottura all’interno del panorama delle psicoterapie, non solo perché si tratta di un modello di terapia senza rigide e vincolanti basi teoriche.
Così come amava affermare uno dei suoi geniali ideatori, Steve de Shazer, si tratta di un modello che ha messo in discussione tutte quelle che fino al momento della sua ideazione rappresentavano delle certezze sul funzionamento delle psicoterapie.
I principali modelli di psicoterapia possono essere definiti “problema-centrici” e sono focalizzati sul problema che la persona porta in seduta e sulla sua risoluzione. Attraverso tecniche e strategie proprie di ciascun modello, la Terapia breve centrata sulla soluzione, sembra lasciarsi il problema alle spalle o, meglio ancora, fuori la stanza della terapia.
Nelle varie fasi storiche di sviluppo del modello, infatti, viene via via eliminata la necessità di conoscere il problema, di focalizzarsi su quest’ultimo, e di concentrarsi, piuttosto, proprio in apertura della seduta, su una manovra fondamentale, ovvero conoscere quelle che sono le migliori aspettative o speranze, che il cliente ha rispetto al lavoro insieme al terapeuta.
“Quali sono le tue migliori aspettative dal nostro incontro di oggi”
E’ la domanda rituale di apertura di una seduta centrata sulla soluzione: questo tipo di apertura, oltre a liberare la persona dal dover parlare necessariamente del problema (lasciando comunque la libertà di farlo).
Rappresenta una manovra fondamentale della TBCS proprio perché consente di andare dritti sull’obiettivo del cliente e sulla direzione, quindi, della terapia.
Proprio perché la TBCS parte da ciò che la persona vuole e desidera dalla terapia, le migliori aspettative, nonostante debbano essere sempre collegate al lavoro che terapeuta e cliente possono fare insieme, possono riguardare:
- Un obiettivo specifico che il paziente intende raggiungere;
- La risoluzione di un problema;
- Uno “stile di vita” associato all’obiettivo raggiunto o al problema risolto.
Dal momento che le migliori aspettative possono comprendere diversi scenari, è opportuno dettagliare alcune situazioni tipiche che il terapeuta potrebbe trovarsi ad affrontare in apertura di un colloquio centrato sulla soluzione.
La persona descrive la migliore aspettativa come “un mezzo per”
Potrebbe accadere che la persona descriva la migliore aspettativa in termini di “mezzi per” piuttosto che un fine.
La distinzione tra mezzi e fini è indispensabile in TBCS e in questi casi può risultare utile far focalizzare l’attenzione del paziente sull’utilità della sua aspettativa, attraverso opportune domande poste dal terapeuta, come ad esempio “Se questa cosa si rivelasse utile per te, a cosa vorresti che portasse?”
La persona riporta la sua attenzione sul problema
È necessario ribadire che in TBCS non si vieta alla persona di parlare del problema né tantomeno viene costretta a non farlo, soprattutto perché le persone tendono “naturalmente” a parlare dei loro problemi, soprattutto in una situazione di terapia.
Alcune persone, invero, potrebbero avere difficoltà a parlare delle loro migliori aspettative e tornare quindi a parlare del problema che le ha portate li.
È indispensabile, in questi casi, che il terapeuta lasci un po’ di spazio al cliente per parlare del problema e nello stesso tempo lo porti, nella maniera più delicata possibile, a farlo parlare di ciò che in realtà vuole.
La persona risponde “non lo so”
Potrebbe accadere abbastanza frequentemente che la persona di fronte alla domanda delle migliori aspettative risponda “non lo so”.
In un primo caso, la persona potrebbe essere stata mandata da qualcun altro e quindi non essere li per sua volontà: può rivelarsi utile in questi casi riportare l’attenzione sul fatto che se la persona è li ci sarà sicuramente una ragione e cercare di arrivare, con delicatezza e rispetto, ad un obiettivo utile per lei.
In altri casi, “non lo so” può significare più semplicemente “ci devo pensare”, pertanto è sempre opportuno, dopo la domanda sulle migliori aspettative, dare almeno 6 secondi di tempo alla persona per pensarci, come suggerito dallo stesso de Shazer et al (2007).
La persona propone aspettative irrealistiche o irrealizzabili
Come per la persona che potrebbe rispondere “non lo so”, un’altra situazione abbastanza frequente è che la persona proponga aspettative irrealistiche (ad esempio, perdere tantissimi kg in pochissimo tempo) o irrealizzabili (che riguardano, ad esempio, il cambiamento di altre persone).
Per affrontare questi casi è importante che il terapeuta accompagni delicatamente la persona verso l’elaborazione di un’aspettativa più realistica e collegata al lavoro della terapia, aiutandosi attraverso l’utilità che la realizzazione di quell’aspettativa avrebbe per la persona.
In conclusione…
Per concludere, è indispensabile che nelle migliori aspettative il terapeuta non alimenti false speranze o peggio ancora comportamenti che potrebbero mettere al rischio il paziente od altri; allo stesso modo, è altrettanto importante che non si ponga come “guida” portando il paziente verso ciò che crede sia giusto/meglio per lui/lei.
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Bibliografia
F.Cannistrà- F.Piccirili (2021) – Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Principi e Pratiche – EPC Editore
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