[Il caso clinico descritto in questo articolo NON è reale, ma prende spunto da più situazioni modificate
e rese opportunamente irriconoscibili]

N. mi contatta a distanza di diversi mesi dalla fine della sua ultima relazione che definisce come “tossica” e dalla quale non riesce a sganciarsi emotivamente. Gli strascichi di questa relazione ormai conclusa stanno interferendo con la sua vita, occupando gran parte dei suoi pensieri e del suo tempo, causandole un grande malessere.

 

V: Allora N., ti chiedo: oggi, secondo te, su che cosa ci dobbiamo concentrare in particolare? Mi piacerebbe che in ogni incontro definiamo bene qual è l’obiettivo, in modo tale da poterci concentrare su quella che è per te la priorità e lavorare su quella.

N: C’è solo un pensiero che mi tormenta ormai da mesi. Io non riesco a capire perché, pur rendendomi conto che sto male, non trovo il coraggio, la forza, la strada, gli strumenti per andare oltre. Perché invece il mio cervello si blocca costantemente su questa storia che è finita? Si concentra sul passato continuamente, su quello che è stato e non è stato, su cosa potevo non potevo. Perché? Perché passo il mio tempo a rimuginare su questo? Ormai è tanto, non è una settimana, sono mesi e non va più bene perché questo va a dare fastidio a tutta la mia vita, che sia il lavoro, le relazioni con la mia famiglia, le relazioni sociale. Io passo le intere giornate solo concentrata su lui.

V: Mi sembra di capire che per te sia importante trovare gli strumenti per mettere un punto con il passato e soprattutto far sì che le giornate non siano totalmente occupate da un rimuginio costante rispetto a questa storia conclusa e che ti porta a delle ripercussioni su tutte le aree più importanti della tua vita.

N: Esatto. È un malessere che sento fisico e mentale, che si ripercuote su ogni cosa. Io sento di essere pesante, noiosa, antipatica, brutta, scostante… Le cose vanno avanti e io non capisco perché non vado avanti.

V: Quindi l’obiettivo, secondo te, qual è? È quello di chiudere definitivamente col passato? Potremmo vederlo così?

N: Sì sì.

V: Oggi, secondo te, se volessi fare il primo piccolo passo che ti mette in cammino verso questo obiettivo, quale potrebbe essere?

N: Non lo so…

V: Pensa all’obiettivo, che è “alla fine dei nostri incontri voglio aver chiuso col passato, rimettermi al centro rispetto a tutti gli aspetti della mia vita” e immagina che già questo primo incontro possa essere utile per te per fare uno step per raggiungere questo obiettivo. Secondo te, una volta finita la nostra sessione qual è la prima cosa che ti farà dire che questo incontro è stato utile?

N: Innanzitutto me ne accorgerei domani mattina appena sveglia, soprattutto dal punto di vista fisico perché ho un perenne malessere a questa altezza (indica con la mano la zona centrale del torace, partendo dalla gola e arrivando fino allo stomaco). Ho una continua ansia, angoscia che mi chiude spesso questa zona (indica con la mano la gola), mi accelera il battito cardiaco, mi chiude lo stomaco. Forse, aprendo gli occhi e alzandomi dal letto potrei accorgermene dal punto di vista fisico.

V: E anziché provare questo fastidio, questa sensazione di chiusura, di malessere che cosa proverai a livello fisico di diverso?

N: Forse poter cominciare a respirare perché credo di aver dimenticato come si fa. Cominciare da questo e sentire anche, forse, una sensazione di energia, di dire “Ah, oggi sto proprio bene!”… non so come spiegarlo… cioè avere quell’energia, quella voglia di dire “Ok, sono pronta per poter affrontare questa giornata”, cosa che ora io non riesco a fare perché parto già dalla notte che non dormo, dormo male. Poi quando apro gli occhi al mattino dico “Oddio già un’altra giornata” e vorrei solo chiudere gli occhi e non svegliarmi mai. Quindi è da questo che potrei accorgermene.

V: Quindi già svegliandoti la mattina riuscirai a sentirti bene nel tuo corpo, riprenderai a respirare a pieni polmoni, riuscirai a cominciare la giornata con energia.

N: Io adesso non dico “Che bello un’altra giornata”. Non è che ci sia entusiasmo tra i mille impegni però affrontarli, perché è così la vita e la routine. Invece io lo faccio con un peso. Una pesantezza che mi accompagna costantemente e mi tiene completamente piegata su me stessa.

V: Questa pesantezza la colleghi a quello che mi dicevi rispetto ai pensieri?

N: Sì.

V: Ok, ti sei accorta di come funziona? Cioè avverti questa pesantezza e poi inizi a pensare o inizi a pensare e poi avverti la pesantezza nel corpo?

N: Io avverto la pesantezza e inizio a pensare. È meccanico, è automatico. Mi alzo, sento la pesantezza fisica e comincio a pensare che è un’altra giornata in cui sarò frustrata, annoiata, senza voglia di vivere e col pensiero continuamente che gli altri vanno avanti, gli altri ce la fanno, gli altri superano, gli altri non ti pensano… Sono diventata pesante anche a me stessa. Non mi sopporto più nemmeno io.

V: Quando ti vengono questi pensieri, cioè il farti domande sul passato e, correggimi se sbaglio, sul presente  e sul futuro, sul perché ad oggi non riesci a fare quel passo in più che desideri o sul modo in cui le persone sono andate avanti e tu no, che cosa fai?

N: Lascio che questi pensieri continuino a buttarmi a terra. Come quando qualcuno ti passa sopra con le ruote della macchina: io rimango lì inerme, consentendogli tutto.

V: Che significa ‘consentendogli tutto’?

N: Mi lascio completamente travolgere dal pensiero negativo e dalla frustrazione, senza fare il minimo sforzo per impedirlo.

V: Questo a che conseguenze porta?

N: Che non vivo. Vado avanti così: senza interessi, senza niente.

V: Ti torna se dico che una parte di quello che possiamo fare insieme è metterti nelle condizioni di riacquisire un potere sia sui tuoi pensieri sia sulle emozioni? Perché i pensieri di cui mi parli non sono solo dubbi o domande ma, mi sembra di aver capito ma correggimi se sbaglio, hanno una forte carica emotiva. Di metterti nelle condizioni di non lasciarti travolgere più da questi pensieri ma anzi avere tu il potere di interromperli e ridefinire la tua giornata e le tue priorità. È come se avessi messo in pausa tutto ciò che fa parte della tua vita e il tempo sta scorrendo ma hai la sensazione che tu stai ferma guardando il tempo che scorre.

N: Sì… sì sì.

V: Tu dici “Nel momento in cui mi vengono i pensieri non faccio niente, rimango in balia della corrente” e questi pensieri hanno sempre lo stesso argomento e sono sottoforma di domande o sono pensieri che ti vengono all’improvviso, anche in maniera intrusiva?

N: È un po’ un misto e per farti capire ti porto un esempio concreto: qualche giorno fa stavo guardando una serie TV in cui c’era una scena dove il protagonista accende una sigaretta e poi la passa alla donna con lui. Questo gesto mi ha riportato a G. perché lui lo fa sempre: si accende la sigaretta e poi la passa a qualcuno. Mi sono ricordata di lui, del mio dolore, della sofferenza che forse per un attimo avevo quasi rimosso e da lì è stato un momento down: ho iniziato a dire “Mi manca, chissà che sta facendo” poi lui è molto bello, anche molto carismatico e quindi mi sono cominciata a chiedere “Quando lo trovo più un uomo così bello?”. Dopo questi pensieri ho cominciato a colpevolizzarmi della fine della storia, perché lui dice che è tutta colpa mia, e poi ad essere completamente giudice contro me stessa e non avvocato per cercare di avere compassione verso di me. Io non lo so chi ha torto o ragione, e forse non è nemmeno questo il punto, ma sono convinta, o mi sono lasciata convincere, che non sono stata brava, all’altezza, bella e interessante abbastanza, non sono stata capace di mantenere l’equilibrio tra me e lui e quindi a colpevolizzarmi e condannarmi. È un circolo vizioso e per qualche ora sono in una fase down in cui odio tutti, odio me stessa, non voglio che mi si parli… è un meccanismo terribile! E durante il giorno è continuo: a partire dalla mattina quando mi sveglio.

V: Ti dico diverse cose rispetto a questo. La prima riguarda una trappola che spesso il nostro cervello mette in atto: soprattutto quando ci troviamo di fronte a persone fisicamente belle abbiamo un’inclinazione a pensare che ha anche una bella personalità, ok? E questo ci frega. Ti faccio un esempio estremo: se vediamo qualcuno un calciatore o una persona dello spettacolo, di successo e famosa, facciamo fatica a pensare che sia una brutta persona emotivamente e come personalità. Se adesso ripensi a M. e alle sue caratteristiche, ti torna della dissonanza che si mette in atto?

N: Sì.

V: Ok, oltre a questo, quando dici che ti senti in colpa sia per come sono andate le cose sia per il fatto che avresti potuto fare qualcosa di diverso… in realtà no! È andata nell’unico modo in cui poteva andare. So che è un pensiero che a volte ci distrugge, ma ci distrugge molto di più il fatto di scervellarsi su cosa avremmo potuto fare affinché la relazione andasse in maniera diversa. Perché non dipendeva solo da te. Se però ti continui a prendere la responsabilità di quello che è successo, continui a metterti tu sul banco degli imputati. Nel momento in si è su questo banco, anche chi non è colpevole si difende. Ti torna quello che ti sto dicendo?

N: (annuisce)

V: Quando pensi a quello che lui ha fatto nei tuoi confronti che sentimenti ed emozioni provi?

N: (sospira) Mi fa male perché non si è comportato bene, umanamente parlando. Io non gli avevo fatto niente. E lui invece ha fatto cose che poteva evitare. Perché? Io gli ho solo voluto bene, l’ho amato (lacrime).

V: Ti fa piangere?

N: (Alza le spalle e sospira) Mi fa piangere un po’ tutto. Le storie possono finire, finisce l’amore, finiscono fidanzamenti, relazioni, matrimoni, però è il come siamo arrivati a questo. (voce rotta dalle lacrime)  anche la parte peggiore che è venuta fuori di me che mi crea un po’ disagio. Non mi interessa per colpa di chi però è venuto fuori proprio il peggio di me e questa cosa mi fa star male perché non sono così. Mi fa male anche tutto quello che lui quello che ha fatto, aver creduto ad una relazione che poi era solo chiacchiere, mi fa star male il fatto che io mi sia lasciata andare quando forse potevo evitare perché… boh… non lo so… perché sapevo che era una persona un po’ così, fuori dalle righe.

V: Quindi, dimmi se ho capito bene, è il fatto di non avere valutato quella persona e le conseguenze in modo realistico, di non aver riconosciuto i campanelli di allarme che avrebbero potuto far capire che non era il caso.

N: Sì, e poi lui mi ha fatto diverse cose già dall’inizio: è entrato nella mia vita come il principe azzurro, a tratti spariva, poi richiesta di soldi, poi mi ha tradita… troppi elementi insieme che non ho voluto guardare perché ero completamente presa da lui. Quando c’era sapeva farti sentire unica e speciale ma nel frattempo c’erano tante altre. Alle mie pretese di un rapporto un po’ più serio lui ha mollato la presa dicendo che non mi ha mai amata e non mi ama, che la nostra era solo una frequentazione. Oggi sono devastata, incazzata nera da questo punto di vista e ce l’ho molto come per avergli permesso di distruggermi tutto.

V: Ma, N., questa rabbia che fine ha fatto?

N: Ce l’ho ancora io tutta dentro. Ho tanta rabbia.

V: Ti chiedo questa cosa perché la rabbia è un’emozione difficile perché culturalmente non siamo tanto predisposti ad esprimerla, tant’è che quando ci arrabbiamo e c’è qualcosa che non va tutti ci dicono ‘no ma stai calma’, ‘ma riprenditi, rilassati, tranquillizzati’. Quindi non è un’emozione che ci viene spontaneo esprimere. Abbiamo sempre l’idea e la preoccupazione che, nel momento in cui esprimiamo la rabbia, diventiamo incontrollabili, andando sul versante distruttivo.  Ma se noi alla rabbia non diamo una valvola di sfogo, come se in una pentola pressione tu non alzassi la valvola per far uscire il vapore succede che esplode,  o esplodiamo e facciamo un casino all’esterno o implodiamo e allora ci si sente soffocare, fa male il petto, non si riesce a respirare, viene mal di testa, si scoppia a piangere, … in realtà, quando succedono questi episodi, soprattutto quando i pensieri ti portano a stare male, accadono perché trasformiamo la rabbia in tristezza. Perché è più accettabile: è più accettabile se piango, se sto male, se mi ritiro, se mi isolo piuttosto che se mi arrabbio. È anche più accettabile per noi stessi. Ti torna quello che sto dicendo?

N: (annuisce)

V: Dobbiamo metterti nelle condizioni di poter attraversare la rabbia perché, se non lo fai e passi direttamente dalla rabbia alla tristezza, la tristezza diventa pericolosa perché ti porta a deprimerti. Ti porta sempre più verso un isolamento, una chiusura, ti ripieghi su te stessa e ti lascio andare. Invece noi dobbiamo sfruttare la rabbia non in senso distruttivo ma come qualcosa che ti attiva, senza trasformarla in tristezza (N. intanto continua ad annuire).  Ci saranno sicuramente momenti in cui sperimenterai la tristezza e vanno bene, è assolutamente fisiologico ma devi fare i conti anche con quello che è successo perché non puoi andare nella direzione di accettare passivamente quello che ti è successo senza premere mai il pulsante per andare avanti. Ti torna?

N: Sì.

V: Senti che hai dei sassolini nella scarpa rispetto alle cose che sono successe nella storia con G.?

N: (sorride e annuisce) Sì.

V: quali sono le cose che ti fanno dire “Non me ne capacito”, “Umanamente questa cosa non è possibile”. Prima hai detto “Umanamente non mi meritavo una cosa simile”.

N: La nostra storia è finita, perché distruggermi? Perché farmi del male? Perché ferirmi? Come se avessi notato una sorta di godimento da parte sua nel ferirmi, come se volesse completamente annientarmi. Perché?  (posizione più eretta e spalle più aperte)

V: Secondo te ha senso se dico che quello c’è stato un grande squilibrio a livello di potere e che, soprattutto nel momento in cui la relazione è finita, è successo da parte sua un ri-confermare il grande potere che stava esercitando nei tuoi confronti (N. intanto sorride e non ha più le spalle incurvate) anche in senso distruttivo.

N: Certo (sorride). Perché lui ha sempre dovuto farmi sentire un gradino inferiore a lui. Lui è sempre quello che sa come ci si comporta, cosa dire, cosa fare, lui è sempre all’altezza. È così.

V: Se tu pensi alle ripercussioni che tutto ciò ti sta portando, quali sono, secondo te, le conseguenze peggiori, cioè in che cosa riscontri gli strascichi della relazione finita?

N: Gli strascichi sono importanti perché non credo in me stessa. Mi sono lasciata convincere che non valgo niente, che non sono bella, che non sono interessante, che sono mediocre, che non posso avere una relazione sana, che non posso avere uno che mi ama perché non sono capace di farmi amare, … tutta questa roba è come se l’avessi presa e interiorizzata.

T: Non ti fa un po’ arrabbiare questa cosa?

N: Sì, tanto. Mi fa incazzare perché so che da un lato non è così: so che ho dei valori, che può dare tanto, che non ho bisogno di nessuno per andare avanti nella mia vita, sono indipendente, ho studiato, ce l’ho fatta e continuo a fare con le mie forze, … quindi non sono il rottame che lui cerca di farmi credere… ma ciononostante le ha dette lui, non uno qualunque. Per me lui era importante: quando lui parlava, io lo ammiravo ed era importante quello che diceva su di me. Quindi, quando mi ha detto tutte queste cose per tanto tempo, ho cominciato a crederci.

V: Quello che dobbiamo fare N., è tornare a ricontattare la rabbia. Perché, come ti dicevo, se scivoliamo esclusivamente sul versante tristezza rimaniamo ancora più impantanate nelle sabbie mobili. Invece dobbiamo uscirne nel più breve tempo possibile. Quindi, ti chiedo di fare questa cosa qui: ogni giorno prenditi 5-10 minuti, mettiti in un posto tranquillo, per conto tuo, prendi carta e penna e voglio che scrivi delle lettere di rabbia a G. Voglio che dentro a queste lettere di rabbia tu ci scriva tutto quello che ti viene in mente: parolacce, offese, insulti di qualsiasi tipo, quello che vuoi, …senza pensare ai punti, alle virgole o alla parola detta in un modo piuttosto che in un altro. Voglio che depositi su quel foglio tutto il risentimento che tu hai nei suoi confronti. (intanto N. annuisce). Anche tutte le ripercussioni che tutte le cose che lui ha fatto o ha detto stanno avendo in questo momento: “Per colpa tua non riesco a godermi le giornata”. Voglio che dentro a queste lettere tu ci metta tutte le cose che ti vengono in mente, senza stare troppo a pensare. Quando senti che per quella giornata hai scritto tutto, non rileggere assolutamente quello che hai scritto e distruggi quella lettera: la bruci, la getti nel secchio, la strappi in 1500 pezzi, … ci fai quello che vuoi, l’importante è che non la rileggi mai. Ok, quindi quando senti che hai detto tutto, posi la penna, non rileggi e distruggi la lettera. Ok?

N: Ok.

V: per quanto riguarda, invece, i pensieri, sai come funzionano?

N: Mmmmm… no.

V: Con i pensieri, soprattutto quando sono ricorrenti, intrusivi, “ossessivi” e che riguardano sempre lo stesso tema succede questo: (mostra verso la telecamera un foglio con uno schemino a penna con il circolo vizioso pensiero-problema) quando hai un pensiero sul passato, sul perché le cose sono andate così, sul perché lui si comporta così, su che cosa tu avresti potuto fare, come sarebbero potute andare le cose, … tutti pensieri che non hanno delle risposte… inizi a pensare al problema: da un pensiero inizi a rimuginare e quindi ti ritrovi a pensare tanto tempo con lo sguardo perso nel vuoto e i pensieri che si accavallano molto velocemente. Quando poi inizi a pensare al problema ti viene un altro pensiero: accade che rimani impantanata nel circolo vizioso tanto da dire “Passo le mie giornate a fare un movimento circolare”. Ti torna quello che sto dicendo?

N: Sì. (si avvicina allo schermo molto concentrata con lo sguardo fisso allo schemino)

V: Quello che dobbiamo fare, fin da subito, non è interrompere i pensieri perché vanno e vengono. Però noi possiamo interrompere il pensare al problema perché è un’azione (N. annuisce) e per te, in questo momento, è diventata un’abitudine. Dobbiamo interrompere questo circolo vizioso bloccando l’azione che ti fa rimuginare e pensare costantemente al problema nel momento in cui ti viene qualsiasi pensiero. Ti torna?

N: Sì.

V: Sai schioccare le dita?

N: Sì. (schiocca le dita)

V: quando ti viene un pensiero che riguarda il perché le cose sono andate così, che riguarda il passato, qualsiasi cosa che sai che ti fa rimanere in questo loop, ti chiedo, nel momento stesso in cui ti viene quel pensiero, di schioccare le dita e dirti “N. torna qui”. Nel momento stesso in cui ti viene quel pensiero e stai per cominciare a pensare al problema quello che fai è schioccare le dita e dirti “N. torna qui”. Ti accorgerai di diverse cose. La prima è che, soprattutto all’inizio, lo dovrai fare una marea di volte, proprio perché il pensare al problema è un’azione ma è diventata anche un’abitudine. Quindi, soprattutto, all’inizio, per interromperla dovrai farlo un mucchio di volte. Non è un problema. Siamo qui apposta. Un’altra cosa di cui ti accorgerai è che alcune volte ti può accadere che ti viene un pensiero e ti dimentichi di schioccare le dita e dirti “N. torna qui” e ti viene in automatico che ci continui a pensare. Quello che fai, allora, è schioccare le dita e dirti “N. torna qui” nel momento in cui te ne accorgi. Ok?

N: Ok.

V: Quindi nel momento stesso mi raccomando, proprio quando ti viene quel pensiero, all’improvviso, guardando un film, guardando persone per strada, sentendo una canzone, … quello che voglio è che in quel preciso istante tu interrompi il circolo vizioso in questo modo: schioccando le dita e dicendoti “N. torna qui”. Tutte le volte che vuoi, anche se ti è appena venuto un pensiero e dopo cinque minuti te ne viene un altro, non importa, lo rifai. Ok?

N: Ok.

V: C’è altro che, secondo te, ci dobbiamo dire per oggi?

N: No.

 

 

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