[Il caso clinico in questione NON è reale. Si tratta di un esempio che prende spunto da più situazioni modificate e rese irriconoscibili]

C. è una giovane donna di 30 anni, infermiera. Decide di intraprendere una terapia perché da un pò di tempo (quasi un annetto) tutti i giorni mangia più del necessario: soprattutto la sera, si concede un pacchetto di patatine o di biscotti che finisce senza riuscire a fermarsi.

Primo colloquio

Nel nostro primo incontro mi racconta che sente di aver perso il controllo sul cibo anche se si rende conto che per il resto del tempo la sua alimentazione è normale.

Inizio cercando di capire meglio quale sia il problema (DEFINIZIONE DEL PROBLEMA) per comprenderne il suo funzionamento. Scopro che al momento è seguita da una nutrizionista, che il piano alimentare le piace e non fa fatica a seguirlo. Non si pesa e durante la giornata la sua alimentazione è regolare fatta eccezione per la sera. Indago meglio come si presenta lo sgarro (DEFINIRE IL PROBLEMA IN TERMINI OPERATIVI).

Lo sgarro si presenta solo di sera e a seguito di una giornata noiosa o stressante; vuol dire che quando durante la giornata svolge attività che non le piacciono -come la dialisi- e non riesce a portare fuori il cane come vorrebbe o a distrarsi in altro modo, mangia. Il problema però non è lo sgarro in sé, quanto il fatto di non riuscire a darsi un limite.

Per lei sgarrare significa mangiare qualcosa fuori dall’ordinaria alimentazione e finirla completamente, come un pacco di biscotti o di patatine.

Mi rivela inoltre che ha preso 20 kg in seguito alla pandemia ed è riuscita a perdere in un mese solo 1kg e che non è soddisfatta. Il problema non si presenta se sta in compagnia ( i genitori o amici) o se si trova in vacanza. “Non ne avverto il bisogno, nemmeno ci penso a sgarrare” . (ECCEZIONI AL PROBLEMA).

Le chiedo se per lei è più importante lo sgarro o il perdere il controllo durante lo sgarro (PRIORIZZAZIONE) e mi risponde che non è un problema sgarrare in generale ma che al momento vorrebbe non perdere il controllo. In più vorrebbe recuperare la forma fisica (cioè tornare al proprio peso forma) e eliminare completamente le abbuffate (OBIETTIVO DELLA TERAPIA).

Le  rispondo che sembrerebbe che sgarrare sia il premio che si concede quando si sente insoddisfatta e decide di abbandonarsi al piacere dopo una giornata di dovere (RIDEFINIZIONE). Annuisce. Le chiedo a quel punto qual è il primo passo da fare per raggiungere il suo obiettivo e mi dice che vorrebbe iniziare riducendo il numero di volte che va incontro alle abbuffate serali (OBIETTIVO DELLA SEDUTA).

Inizio a indagare come funziona il problema, cosa fa per contrastare le abbuffate (TENTATE SOLUZIONI).

C. mi dice che principalmente cerca di controllare la propria alimentazione, stando attenta a quello che mangia e seguendo la dieta della nutrizionista.

Quando sgarra si allena un po’ più del solito, cioè un giorno in più di allenamento e tende ad evitare i cibi piacevoli, come i dolci.

Introduco la metafora del controllo che fa perdere il controllo e di come ogni volta che lei controlla, prepara il terreno all’abbuffata successiva (RISTRUTTURAZIONE).

Così, ricapitolando quanto mi ha raccontato, chiedo un feedback e procedo con i compiti che concordiamo insieme.

Il primo esercizio che le prescrivo è il “Come Peggiorare”: dovrà pensare tutti i giorni per 5 minuti a tutto ciò che potrebbe fare o che sta già facendo per peggiorare le sue abbuffate, spiegandole che a volte prima di raddrizzare le cose, è bene storcerle.

Il secondo esercizio è “L’epistolario Notturno”: ogni sera dovrà scrivere con carta e penna, come ultima azione della giornata, sul suo cuscino, una lettera, mettendoci dentro quello che vuole ma iniziando con “Cara Dottoressa”.

Ci salutiamo e le do appuntamento a 15 giorni dopo.

Secondo colloquio

Al secondo incontro C. mi racconta che sta decisamente meglio. Si sente più libera mentalmente, più serena in generale e mi dice che aver fatto la lista mentale delle cose che poteva fare per peggiorare le abbuffate è stata utile: le ha bloccato la voglia di mettere in atto tutti i comportamenti che le venivano in mente per peggiorare appunto la situazione. (ADERENZA ALLE PRESCRIZIONI).

Indago l’effetto delle prescrizioni e se e come le abbuffate sono effettivamente diminuite e Caterina mi racconta che si, sono scese a due volte a settimana (IPOTESI VERIFICATA).

Per quanto riguarda l’Epistolario Notturno mi dice che l’ha scritto una sera sì e una no e quando le chiedo il motivo, mi spiega che è tornata molto tardi dal lavoro alcune sere ed si è addormentata. Quando le chiedo se è stato un compito utile, mi dice che le è piaciuto perché a suo dire: “mi ha dato qualcosa da fare e questo mi ha aiutato molto a distrarmi”.

Concluso il feedback sugli esercizi, decido di approfondire alcuni aspetti del problema e indago le modalità alimentari dentro casa; le modalità con cui cucinano, la relazione a tavola, se ci sono esigenze particolari da parte dei membri della famiglia, etc. Emerge che i pasti vengono consumati sempre insieme ai genitori che non hanno particolari inclinazioni (vegetarianesimo, veganesimo, intolleranze o altro). Solitamente è la madre a cucinare, salvo le volte in cui tornando tardi a casa da lavoro C. si prepara qualcosa da sola se non trova giù pronto. I pasti sono variegati e completi e normalmente chiacchierano della giornata. Tuttavia dopocena, avverte sempre quel bisogno di concludere il pasto con qualcos’altro, che sia dolce o salato a cui non sa resistere e che vorrebbe ridurre (OBIETTIVO DELLA SEDUTA). Mi dice che non sperimenta un senso di sazietà alla fine dei pasti, come se “avessi bisogno di qualcosa che mi soddisfi a fine giornata, soprattutto quando la giornata è stata pesante”. Tenta di resistere (TENTATA SOLUZIONE), ma poi cede.

Mi racconta nuovamente che questo senso di sazietà non lo sperimenta con gli amici ed è in grado di fermarsi e regolarsi sul cibo (ECCEZIONE AL PROBLEMA). Le chiedo secondo lei qual è la differenza tra quando sta con gli amici e quando sta in famiglia e lei mi risponde che forse la differenza sta nel fatto che si sente “appagata” con gli amici, mentre a casa no.

Mi appresto a indagare allora la sfera sessuale; C. mi dice che non è fidanzata e non è alla ricerca di un partner attualmente perché ha bisogno di concentrarsi sul lavoro e non su una relazione. Il suo obiettivo è prima di tutto quello di andare a vivere da sola.

Riprendendo il discorso del piacere e dell’appagamento e del fatto che le capitano questi incontri notturni con il cibo a cui non resiste perché – parole sue – “se comincio a mangiare i biscotti, li devo finire tutti”, le dico semplicemente che ogni volta che si trova sul divano con il pacco di biscotti in mano  vorrei pensasse che è come se fosse preda di un raptus sessuale e decidesse di uscire per strada, e consumasse un rapporto sessuale fino al massimo del piacere con il primo uomo che incontra, per poi sentirsi in colpa (RISTRUTTURAZIONE).

Al termine della seduta mantengo la prescrizione del Come Peggiorare e dell’ Epistolario Notturno. Ci salutiamo e le do appuntamento a 15 giorni dopo.

Terzo colloquio

Al terzo incontro gli episodi di abbuffata sembrano essere ancora una volta migliorati. C. mi dice che sta scoprendo piano piano di poter resistere alla tentazione se si rende conto che non le va e di potersela concedere quando ne sente il bisogno. Le capita ancora di essere preda di qualche “raptus sessuale” ma nota che il senso di colpa è diminuito leggermente. Ha continuato a fare il Come Peggiorare e l’Epistolario Notturno e noto in lei un atteggiamento sempre più estroverso e confidenziale (ADERENZA ALLE PRESCRIZIONI E IPOTESI VERIFICATA).

Quando le chiedo qual è il prossimo piccolo passo che secondo lei dobbiamo fare affinchè ritenga utile l’incontro, emergono due tematiche parallele; da un lato continuare il lavoro sulle abbuffate con l’obiettivo di eliminarle e dall’altro l’organizzazione tra lavoro e tempo libero (OBIETTIVO SEDUTA).  Le chiedo di spiegarmi meglio e di farmi qualche esempio (INDAGINE DEL PROBLEMA).

Mi dice che il lavoro non la soddisfa appieno (non il ruolo di infermiera ma le modalità lavorative) e nemmeno l’organizzazione del suo tempo libero; vorrebbe fare più cose come per esempio essere più costante nell’attività fisica, portare più spesso fuori il cane, organizzare il weekend delle uscite con gli amici.

Invece glielo impedisce il fatto che deve essere sempre pronta a rispondere a eventuali chiamate a lavoro e rendersi sempre disponibile, quando sa benissimo di non essere l’unica infermiera reperibile ma che è lei a rendersi tale per paura che dire di no, possa comprometterla; così dice sempre di si anche quando non vorrebbe (TENTATA SOLUZIONE).

Inoltre, aggiunge, che ha deciso di non andare più dalla nutrizionista. Le chiedo qual è l’aspetto prioritario per lei su cui vuole lavorare e mi risponde che ha le idee confuse a riguardo. Così, procedo gradualmente e prima di tutto decido di prescriverle la Dieta Paradossale con l’obiettivo di consolidare la diminuzione delle abbuffate ed eliminarle del tutto; le spiego che nell’arco di tempo di quindici giorni non subirà variazioni di peso significative e che sono concedendosi il cibo, può rinunciarci (RISTRUTTURAZIONE).

Lei accetta subito la mia proposta entusiasta e forse -ipotizzo io- sollevata. Le propongo poi, con l’obiettivo di fare chiarezza rispetto ai suoi desideri, di mettere su carta degli obiettivi che per lei sono prioritari e che vorrebbe raggiungere in un determinato lasso di tempo. Mi accerto che sia d’accordo nel procedere in questo modo e ancora una volta acconsente.

Così le prescrivo la Torta degli Obiettivi, dicendole che sarà il nostro filo rouge di tutta la terapia poiché ci darà indicazione rispetto ai progressi raggiunti. Le spiego accuratamente come sono costruiti degli obiettivi funzionali, secondo l’ottica S.M.A.R.T. Infine le dico di interrompere l’Epistolario e mantenere il Come Peggiorare, ma di farlo al bisogno, quando sente che la giornata sarà stressante o impegnativa.

 

Negli incontri successivi

Dalla 4° seduta in poi C. identifica degli obiettivi molto chiari:

  • 3 mesi – vuole allenarsi due volte a settimana e uscire 1 volta a settimana con le amiche.
  • 6 mesi – essere riuscita a staccare il telefono fuori dall’orario di lavoro
  • 12 mesi – essere riuscita a separare la vita lavorativa da quella privata

Inoltre mi rivela che vorrebbe iniziare a prendersi cura di se stessa, mettendosi per esempio il mascara o la crema sul viso la mattina.

Il lavoro procede in questa direzione,  per raggiungere in primo luogo gli obiettivi a 3 mesi, seguendo la logica dei piccoli passi, del creare avversione e creare nuove risorse.

C. è aderente alla prescrizione della dieta paradossale e mi rimanda un feedback positivo, dicendo che si trova molto bene, si rende conto che è capace di autoregolarsi e che spesso varia molto con la tipologia di cibo; questo l’ha sollevata dall’ansia e dal senso di colpa. Le prescrivo la ricaduta nell’ottica di normalizzare un eventuale ripresentarsi di un abbuffata, che tuttavia non si ripresenta.

Entro la 7° seduta, C. si allena 2 volte a settimana, esce con gli amici il weekend, si trucca ogni mattina e si rende conto che un cambiamento che vuole affrontare è quello lavorativo, per avere orari più regolari e definiti. Lavoriamo su questo e quando riesce nell’intento, si rende conto che vorrebbe prendere in considerazione un concorso in ospedale.

Dalla 8° seduta in poi, decidiamo di diluire gli incontri a una volta ogni 3 settimane e entro la 9° seduta C. ha raggiunto gli obiettivi prefissati: ha progettato le vacanze per il mese di agosto, si è concessa dei weekend in cui è partita con gli amici, si allena regolarmente, porta fuori il cane e inizierà a breve a lavorare in ospedale. Mi dice che è contenta e soddisfatta e ora sta pensando a comprare casa.  Vuole tornare da una nutrizionista perché si sente pronta per riprendere una dieta e scendere di qualche chilo, poiché non si abbuffa più e non prova più ansia rispetto al cibo.

Concordiamo dopo la 10° seduta di diluire ulteriormente gli incontri una volta al mese per fare il punto della situazione e mantenere i risultati raggiunti.

 

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