[Il caso clinico in questione NON è reale. Si tratta di un esempio che prende spunto da più situazioni modificate e rese irriconoscibili]

Ricevo una telefonata dal signor L., di anni 62. Mi dice che vorrebbe iniziare un percorso con me dietro il suggerimento di una collega con cui collaboro. La notizia non mi coglie impreparata, la collega in questione mi aveva già informata della sua situazione e del fatto che si rendeva necessaria una visita domiciliare.

Accolgo la richiesta di L. e fissiamo insieme il nostro primo colloquio.

Mentre varco la soglia di casa sua, colgo una serie di elementi che saranno fondamentali per lo svolgimento delle nostre sedute. Mi accomodo, mi presento e spiego a L. il mio modo di lavorare.

E’ celibe, vive con la madre anziana e sta affrontando una condizione di salute piuttosto grave, tanto da necessitare di un aiuto esterno anche per le più semplici attività per la cura personale.

Mi racconta che cosa faceva nella vita, che persona fosse prima che le cose si complicassero, per quale squadra tifa e mi informa del suo orientamento politico, semmai dovesse essere un problema. Si preoccupa di essere troppo schietto o che le sue parole possano turbarmi: in quello che dice, e in come lo dice, colgo un profondo bisogno di essere ascoltato.

Visto che tra noi si è creata una buona sintonia, gli propongo di impiegare il poco tempo che ci resta per definire un obiettivo su cui lavorare insieme.

La richiesta lo confonde.

I terapeuti ai quali si è rivolto in passato tracciavano la strada per lui… questa è la prima volta che si sente protagonista del processo. Trovare la risposta da darmi non è facile, anche perché la sua salute è incerta e non sa se potrà essergli garantita la qualità della vita che desidera.

“La mia vita non sarà più la stessa, voglio capire se posso recuperare il vecchio L. per crearne uno nuovo”.

Ci rivediamo a distanza di una settimana. Dopo un breve riepilogo di quello che ci siamo detti, chiedo a L. se l’obiettivo che mi ha presentato la volta precedente sia ancora valido e verifico se, nel frattempo, non gli sia venuto in mente qualcos’altro su cui lavorare insieme. L’obiettivo viene confermato e non c’è altro da aggiungere rispetto a quanto già emerso: tuttavia, L. ci ritorna e comincia un discorso centrato sui suoi problemi di salute. Con delicatezza, riesco a interromperlo e a convogliarne l’attenzione in una direzione ben precisa.

“Sai, alla luce di quello che mi stai dicendo, ti confesso che mi ha molto colpito la frase con cui ci siamo lasciati la volta scorsa. Sapresti spiegarmi, più nel dettaglio, che cosa significa per te e che cosa intendi con quelle parole?”

Da che L. sembrava un fiume in piena, lo vedo acquietarsi. Si ferma a riflettere per tutto il tempo necessario prima di darmi una risposta. Gli pongo altre domande, dicendogli che, per fare con lui un lavoro efficace ed efficiente, ho bisogno di entrare nella sua visione delle cose e se quello è il suo obiettivo, mi chiedo (e gli chiedo) che cosa noterà o farà una volta che lo avrà raggiunto.

Comincia allora il viaggio verso il futuro da lui desiderato, fatto di pranzi in autonomia al tavolo della cucina, trasferte per andare a vedere la sua squadra del cuore, uscite al bar sotto casa con gli amici, corteggiamenti di belle donne. Si sentirà più sicuro di sé, meno cagionevole, si arrabbierà meno con la madre e non si sentirà un peso per i fratelli. La sua postura, il tono e la cadenza della sua voce cambiano totalmente, sorride spesso e arriva anche a commuoversi.

Questo stato si scontrerà presto, però, con la realtà dei fatti.

Quando gli chiedo di dirmi dove si posiziona adesso su una scala immaginaria che va da zero a dieci, dove il dieci rappresenta il futuro appena descritto e lo zero l’esatto opposto, L. riferisce di non collocarsi su nessun gradino e, addirittura, di non riuscire a visualizzare neanche la scala davanti a sé.

Manterrà questa posizione anche per le due sedute successive, fissate a distanza di due settimane l’una dall’altra. Entrambe le volte rivediamo le sue aspettative circa i nostri incontri: non sembra più porsi un obiettivo, o meglio, non solo sembra cambiarlo tra una seduta e l’altra ma anche all’interno della stessa seduta.

È una fase in cui riepilogo spesso quello che mi dice per capire se siamo sulla strada giusta o per chiedergli se riesce a trovare una tematica su cui focalizzarsi.

Al quarto colloquio mi dice che non è sicuro di poter migliorare e, per quanto gli faccia piacere la mia presenza, mi chiede se posso guarirlo davvero. Lui sa che non posso fare miracoli rispetto alle sue condizioni, purtroppo però tutto dipende da lì.

Allora gli faccio notare, rifacendomi a degli esempi che lui stesso mi ha riportato, che nonostante tutto ha già superato dei seri momenti di difficoltà: “Come hai fatto a non peggiorare?” gli domando, e aggiungo “Questo cosa dice di te?”. Per approfondire, gli chiedo una lista di almeno cinque qualità positive che riesce ad attribuirsi. La nostra relazione si rinforza, concordiamo insieme delle strategie per abbattere la noia durante la giornata e nel mentre gli chiedo di trovare, per ogni giorno fino al prossimo colloquio, tra due settimane, qualcosa da fare che gli faccia dire “Mi sento più vicino a quella scala immaginaria”.

Mi telefona la mattina della seduta, dichiarandomi che si sente fermo, ricade nel problem-talk e non sa se confermare il colloquio. “A volte,” gli dico “procedere per piccoli passi non è facile. Cosa ne pensi di prenderci una pausa dalla terapia?”. Gli spiego che non si tratta di un’interruzione ma di una strategia per risentirci in un momento per lui, forse, più favorevole. Ribadendo che la mia porta è sempre aperta, ci salutiamo serenamente.

Dopo un mese, mi ricontatta: non sa spiegarsi come ma sente che qualcosa è scattato.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2021). Terapia breve centrata sulla soluzione: Principi e pratiche. EPC srl.

O’Connel, B. & Palmer, S. (2014). Manuale di Terapia Centrata sulla Soluzione, Libri liberi: Firenze.

Hoyt, M, F. (2020). Psicoterapie brevi. Principi e pratiche.