Murray  Bowen e il concetto di triangolo nelle relazioni familiari

In questo articolo prenderemo in considerazione il tema della triangolazione relazionale  attraverso un’analisi sistemica di due dei maggiori teorici sistemici: Murray Bowen e Jay Haley

Lo studioso sistemico che al tema della triangolazione familiare offrirà una maggiore strutturazione teorica è Murray Bowen.

La sua teoria muove dalla riflessione che sia pressoché impossibile osservare e comprendere l’interazione tra due persone senza analizzare l’influenza che, su di esse, ha un terzo individuo.

Il suo concetto di triangolazione può essere descritto come la tendenza di tutte le diadi umane a inserire nelle proprie dinamiche un terzo elemento, che, da un lato può rendere temporaneamente più sopportabile una condizione di tensione, dall’altro può aumentare la fusionalità e l’invischiamento dei soggetti coinvolti, rendendo difficile la differenziazione del singolo rispetto al sistema stesso.

Secondo Bowen, infatti, la relazione a due rappresenta un contesto caratterizzato da potenziali stati di tensione e di instabilità, a tal punto che, al fine di tentare il raggiungimento di un qualche equilibrio, può rendersi necessario l’interessamento di altri individui.

La triangolazione, nel pensiero di Bowen, può assolvere una funzione positiva nel momento in cui consente di distribuire un possibile stato di tensione diadica ad un sistema allargato, diminuendone il carico percepito.

Triangolazioni patologiche

Tale coinvolgimento può assumere, però, caratteri patologici quando avviene entro schemi relazionali rigidi, che non permettono una differenziazione dell’individuo rispetto al sistema originario.

Bowen approfondisce le traiettorie relazionali che si configurano in una tale situazione disfunzionale, attraverso un’ampia teoria che avvicina il concetto di sistema familiare a quello di dinamica emotiva individuale.

In particolare la configurazione triangolare delle relazioni corrisponde ad una coalizione (cognitiva ed emotiva) di natura conflittuale tra i soggetti, a danno di tutto il sistema.

Afferma Bowen: “il triangolo è il sistema stabile più piccolo della relazione”.

Una configurazione a due è immediatamente portata a formare una serie di triangoli interdipendenti con altri soggetti.

Il triangolo evidenzia “modalità relazionali strutturate che previsionalmente alternano periodi di stress a momenti di tranquillità”.

Ogni triangolo, in uno stato di elevata tensione emotiva, può mostrare modalità relazionali conflittuali a discapito di uno dei tre individui coinvolti, solitamente il soggetto inizialmente designato come membro aggiuntivo rispetto alla diade originaria.

Se tale individuo non risulta essere utile ad una nuova, e più tranquilla, condivisione emotiva, la precedente coppia può procedere alla  scelta di un nuovo componente che consenta un nuovo allargamento del sistema, procedendo alla generazione di un nuovo triangolo.

Nella dimensione relazionale a triangolo è possibile, così, individuare una dinamica specifica nel rapporto interno/esterno, che varia a seconda di quale relazione a due generi un’alleanza triangolando un terzo.

Due soggetti coalizzati possono essere considerati all’interno del triangolo, mentre la persona triangolata all’esterno.

In seguito a tensioni all’interno di una relazione diadica, uno dei due elementi si coalizzerà con un terzo soggetto esterno, generando una nuova dinamica di coalizzazione capace di triangolare il primo elemento.

Quest’ultimo può, a sua volta, tentare di riavvicinarsi ad uno dei due, cercando di perseguire una nuova alleanza e determinando, in caso positivo, una seconda configurazione triangolata.

Come gestire triangolazioni difficili?

Il comportamento di ognuno dei componenti del triangolo sembra essere, quindi, in funzione del comportamento degli altri due membri.

Da qui, l’idea di Bowen di un lavoro terapeutico che si focalizzi sul singolo come potenziale elemento utile per un cambiamento della dinamica triadica, e quindi del sistema.

Se uno dei componenti del triangolo è in grado di cambiare, con molta probabilità il triangolo verrà modificato, intervenendo sul sistema esteso.

Nel caso di un conflitto all’interno della coppia genitoriale verranno messe in atto configurazioni triangolari caratterizzate da una dinamica atta a preservare il funzionamento di alcuni componenti della famiglia a scapito di altri.

La triangolazione, in particolare, si verifica nel momento in cui la tensione tra i due genitori accresce la sua intensità, determinando una difficoltà di gestione della coppia.

Un tentativo di arginare o contenere il conflitto può essere quello di coinvolgere uno dei figli, generando una alleanza con un altro soggetto (più vulnerabile) utile a definire una relazione più stabile.

Per quanto, tuttavia, l’adozione di questa strategia rafforzi la tenuta della coppia genitoriale rispetto al conflitto, una modalità di invischiamento del figlio può rendere quest’ultimo in forte difficoltà nell’attuare il proprio percorso di differenziazione.

Jay Haley e il triangolo perverso

Nel 1969 Jay Haley, psichiatra statunitense e membro del gruppo originario della scuola di Palo Alto, ha analizzato una particolare configurazione triadica delle relazioni familiari, definita “triangolo perverso”.

Si tratta di una triade in cui sono coinvolti due individui della stessa generazione ed un soggetto appartenente ad una generazione diversa.

In maniera simile alla triangolazione proposta da Minuchin (1977), tra due individui appartenenti a generazioni differenti si realizza una coalizione a danno del terzo soggetto.

Tale direttrice di coalizione, tuttavia, non viene resa manifesta, è negata, squalificata o dissimulata.

Il fatto che una tale alleanza non venga esplicitata, comporta il fatto che la dinamica relazionale tra i componenti la triade genererà messaggi incongrui e paradossali.

Il caso tipico è ancora quello in cui una delle due figure genitoriali tenta di coalizzarsi con il figlio a danno dell’altro genitore.

Così, il genitore oggetto della coalizione vede la propria autorità condizionata dal sostegno che il figlio è in grado di offrirgli.

L’altro, bersaglio dello schieramento, ha un potere fortemente a rischio.

Secondo Haley il triangolo perverso potrebbe essere alla base della manifestazione di comportamenti sintomatici di tipo violento ed aggressivo.

In particolare la manifestazione di un comportamento apparentemente folle del soggetto sintomatico sarebbe un tentativo estremo di non prendere posizione all’interno di un conflitto.

Una triade perversa

Per poter definire una triade perversa, dunque, è necessario che siano coinvolte due persone occupanti lo stesso livello in una scala gerarchica e un’altra proveniente da un altro livello, la presenza di una coalizione di due individui appartenenti a livelli diversi contro il terzo escluso, la persistenza di un comportamento di negazione o squalifica metacomunicazionale dell’alleanza stessa.

Si tratta, quindi, di una alleanza intergenerazionale caratterizzata dalla segretezza.

Haley, inoltre, sottolinea la criticità del momento in cui l’individuo investito della coalizione si trova costretto ad interagire con i diversi livelli del sistema.

In questo caso, pur di evitare situazioni conflittuali che possano far emergere pensieri di lealtà emotiva, può decidere di mettere in atto comportamenti bizzarri fino a manifestazioni tipicamente cliniche.

L’aspetto patologico e, quindi, la perversione della triade relazionale, non sta tanto nella relazione in sé, quanto nell’impossibilità di parlarne apertamente, anche in caso di conflittualità elevata, a tal punto da attuare uno schema comunicativo incongruente rispetto alla reale configurazione dei legami triadici.

Un sistema familiare patologico potrebbe, quindi, essere costituito da una struttura più o meno ramificata di triangoli perversi.

Se la triade diventa l’oggetto di analisi, l’osservazione della famiglia non dovrebbe prescindere da una corretta definizione della posizione di ogni elemento rispetto a tale configurazione e, soprattutto, quale ruolo ogni individuo abbia nel vertice che occupa, anche in termini di “ruolo percepito” personalmente e “ruolo atteso” dagli altri componenti la triade.

Riferimenti Bibliografici

 Bowen, M.,(1979),  Dalla famiglia all’individuo: La differenziazione del sé nel sistema familiare. Roma: Astrolabio

Haley, J.,(1979), Terapie non comuni. Tecniche ipnotiche e terapia della famiglia. Roma: Astrolabio

Gambini, P., (2007), Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale. Milano: Franco Angeli