Lavorare con gli adolescenti in terapia è spesso un’impresa molto ardua!

Molti clinici, infatti, sperimentano notevoli difficoltà e preferiscono inviare ad altri colleghi pazienti adolescenti.

L’adolescenza, si sa, è una fase evolutiva estremamente critica. È l’età del cambiamento a 360 gradi, spesso radicale, delle crisi identitarie e delle prime ribellioni.

Le criticità legate a questa fase evolutiva così complessa hanno un’influenza anche sui terapeuti che spesso sperimentano notevoli difficoltà nel lavoro clinico con adolescenti.

Quali ostacoli nella terapia con adolescenti?

Uno degli aspetti maggiormente temuti è l’atteggiamento oppositivo che porta spesso i piccoli pazienti a rispondere alle domande del clinico in modo chiuso e serrato. Infatti risposte come “No” oppure “Non so” sono estremamente tipiche.

Altrettanto comunemente si riscontra tra gli adolescenti una mancanza di motivazione e di impegno. Quest’ultimo aspetto è legato prevalentemente al fatto che questi non scelgono quasi mai in autonomia di intraprendere un percorso terapeutico. Infatti, nella maggior parte dei casi, sono i genitori ad avanzare la richiesta di trattamento per conto di un figlio che, inevitabilmente, si vedrà costretto in un percorso cucito su domande e bisogni lontani dal modo in cui l’adolescente percepisce sé stesso e il proprio problema.

Quali punti di forza?

Clinici e pazienti che hanno affrontato percorsi di psicoterapia sono rimasti estremamente sorpresi dal modo in cui la Solution Focused Brief Therapy fosse risultata efficace nel trattamento di problematiche relative al mondo dell’adolescenza e più in generale dell’infanzia.

Di seguito proviamo ad elencare alcuni dei punti di forza della Terapia Breve Centrata sulla Soluzione nel lavoro clinico con adolescenti:

  1. Codice Linguistico: l’utilizzo di un linguaggio a misura di ragazzo ma soprattutto concreto e libero da meccanismi interpretativi è molto utile nel lavoro con adolescenti e bambini. È molto importante infatti che il minore sia in grado di comprendere e rispondere alle domande propostegli, formulandole nel modo meno astratto possibile.
  2. Obiettivi: definire insieme al piccolo paziente gli obiettivi che si vogliono perseguire nel percorso terapeutico è molto importante per dare concretezza al lavoro e per poter misurare gradualmente i miglioramenti ottenuti.
  3. Domande chiuse: porre domande chiuse durante il primo colloquio, incoraggiando risposte chiuse nel paziente, può rappresentare un punto di forza. Esse, infatti, consentono agli adolescenti di fornire quasi sicuramente una risposta, condizione che infonde fiducia e consente quindi immediatamente di sentirsi parte attiva all’interno del processo. Questa tipologia di domande fungono un po’ da rompighiaccio. Soltanto successivamente, infatti, si potrà procedere con domande aperte che fanno sì che il bambino debba pensare di più prima di dare una risposta.
  4. Tempo: i colloqui di psicoterapia non devono essere scanditi da tempistiche rigide. A volte mezz’ora di colloquio potrebbe essere sufficiente per un adolescente.

 

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Simonetta Bonadies
Psicologa Psicoterapeuta
Team dell’Italian Center For Single Session Therapy

 

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Bibliografia

  • Bakker J.M., Bannink F.P., Macdonald A. – Solution-focused psychiatry. National Dementia Strategy: a window of opportunity? The Psychiatrist (2010)
  • Hoyt, M.F. (2018). Psicoterapie Brevi: Principi e Pratiche. CISU editore.
  • O’Connel B., Palmer S. (2014). Manuale di Terapia Breve Centrato sulla Soluzione. Libriliberi editore.
  • O’Hanlon B, Rowan T. Solution-Oriented Therapy for Chronic and Severe Mental Illness. WW Norton, 2003