Il setting è lo scenario all’interno del quale si svolge la terapia.

E’ definito come “l’insieme degli elementi, precostituiti dal terapeuta in base al proprio orientamento, che contribuiscono alla strutturazione di una relazione di tipo terapeutico, del processo a cui tale relazione dà vita e, quindi, alle regole che la rendono possibile, la definiscono e la organizzano“. (Loriedo, Acri,2009, p.31)

La costruzione del setting in terapia ha sempre costituito un aspetto importante per l’efficacia e l’efficienza della terapia stessa, poiché si è sempre pensato che fosse più importante dare rilevanza alla relazione che si instaura tra terapeuta e paziente piuttosto che all’approccio che il professionista utilizza.

Infatti, il setting non è caratterizzato esclusivamente dall’ambiente fisico in cui si svolge la terapia, ma da un insieme di elementi relazioni che determinano l’alleanza terapeutica; è uno spazio fisico caratterizzato sia dall’ambiente –lo studio dello psicologo- e dalla disposizione dello stesso, sia dalle regole contrattuali accordate per l’inizio della terapia.

Ma non solo: a costruire il setting è il processo terapeutico stesso, poiché esso diventa la cornice nella quale si inquadra la relazione in atto.

Si è soliti fare una distinzione tra un setting interno ed uno esterno:

  • Il setting interno fa riferimento agli aspetti meramente pratici della terapia: l’ambiente in cui si svolge, la disposizione della stanza, le modalità comunicative prese in seduta, l’abbigliamento del terapeuta, la posizione che assume durante il colloquio, le regole contrattuali che impone.
  • Il setting esterno è l’insieme degli elementi “astratti” che costruiscono l’alleanza; la frequenza delle sedute, l’approccio del terapeuta, il suo mindset, il modo in cui si comporta per costruire la fiducia nel paziente, la sua personalità e così via.

Winnicott (1956), definisce così il setting: “Questo lavoro deve essere svolto in una stanza non di passaggio, una stanza tranquilla, al riparo da rumori improvvisi ed imprevedibili senza, tuttavia, che vi sia un silenzio di tomba o che vengano esclusi i rumori abituali di una casa. La stanza deve essere adeguatamente illuminata, ma non da una luce diretta sugli occhi o variabile. La stanza non è certamente buia e deve essere calda e confortevole. Il paziente si sdraia sul divano in modo da essere comodo, se comodo riesce a stare. Può eventualmente disporre di una coperta e di acqua da bere.”

In poche parole, il setting costituisce uno spazio che consente alla terapia di essere efficace, efficiente ed utile per il paziente, poiché l’obiettivo ultimo è quello di raggiungere il benessere della persona che ha intrapreso il percorso.

Tuttavia nel corso del tempo, il concetto di setting si è modificato, variando di approccio in approccio: si è passati da una visione rigida e irremovibile ad una più fluida e dinamica, anche se ogni orientamento terapeutico ha la propria costruzione del setting a cui deve o meno aderire affinché quel modello funzioni.

Quindi, quando si parla di setting, non si fa riferimento ad un concetto univoco e valido per ogni approccio in psicologia: ci sono variazioni e aderenze diverse su questo tema.

Esiste un setting giusto e uno sbagliato?

Non esattamente.

Il setting ha la funzione primaria di proteggere la relazione che si costruisce tra terapeuta e paziente ma le dinamiche con cui questo accade possono essere differenti, purché rispettino la professionalità e l’etica della terapia.

E’ necessario che sia presente un ambiente il più possibile confortevole per il paziente che è alla ricerca di uno spazio di confronto privato e privo di interferenze esterne: ciò costituisce un valore ma non necessariamente una conditio sine qua non; è possibile infatti sfruttare ambienti alternativi al tradizionale studio dello psicologo , purché venga garantito il massimo rispetto della privacy per il paziente.

In fondo, l’obiettivo comune ad ogni terapia è di raggiungere il benessere psicofisiologico del paziente, evidenziano le sue risorse e sviluppare nuove attribuzioni di significati, costruendo un contesto in cui può attuare un cambiamento.

E il setting nella Terapie Breve?

A questo proposito il setting all’interno delle Terapie Brevi è fluido, dinamico e meno “tradizionale” rispetto agli altri approcci.

Prima di tutto, bisogna dire che la Terapia Breve è un approccio breve, efficacie ed efficiente, che si prefigge di sfruttare ogni singolo incontro come se fosse l’unico, in modo tale che la terapia preveda un numero di sedute necessarie -non una di più e non una di meno- per la risoluzione del problema.

Per essere terapeuti brevi, quindi, è importante avere un mindest dinamico e “work in progress”, caratterizzato dalla convinzione che il cambiamento – per il paziente – possa avvenire all’improvviso tanto nella vita quanto in un percorso terapeutico, attraverso l’esperienza diretta da parte dello stesso.

Di conseguenza, la Terapia Breve, trova numerosi ambiti applicativi che modificano il setting all’interno della quale opera, essendo in grado comunque di costruire una relazione solida e funzionale con il paziente. In questo caso, si evince che il setting – per come lo abbiamo definito negli aspetti più tradizionali- perde di importanza.

Per esempio le Terapie Brevi sono utili all’interno dei contesti di emergenza, poiché sono “veloci” nell’individuare l’obiettivo che il paziente vuole raggiungere, valorizzarne le risorse e infine fargli fare un’esperienza pratica che possa modificare fin da subito la percezione che ha del problema.

Un altro esempio è l’uso sempre più frequente delle piattaforme Online per le terapie che consentono di aumentare il bacino di utenza e intercettare le persone con difficoltà particolari che gli impediscono di raggiungere uno studio di psicologia; la Terapia Breve si presta alla modalità online, poiché è in grado di costruire una alleanza terapeutica anche attraverso uno schermo con una comunicazione strategica e con tecniche che incrementano la fiducia del paziente.

Ricapitolando, per gli assunti che caratterizzano la Terapia Breve, il setting assume un aspetto meno rilevante, rispetto ad altri approcci; il punto focale è che il paziente sia il centro della terapia e che si raggiunga l’obiettivo individuato attraverso la risoluzione del problema.

Le modalità con cui si raggiunge questo fine, possono variare in base alla persona, in base al contesto, la prassi con cui si volge la terapia e al terapeuta stesso: non si tratta di principi inamovibili, ma fluidi e soggetti al cambiamento, con lo scopo di soddisfare diverse esigenze.

L’assunto di base è garantire la privacy del paziente in un ambiente che sia per lui confortevole, senza aderire rigidamente a dei concetti universali.

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Bibliografia
Cannistrà F., F. Piccirilli. (2018) Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti editore
Sbattella F. (2009) Manuale di Psicologia dell’emergenza. Franco Angeli editore, 2009
Semi. A.A (1996) Tecnica del colloquio. Cortina Raffaello
Loriedo. C, Acri.F (2009) Il setting in psicoterapia. Lo scenario dell’incontro terapeutico nei differenti modelli clinici di intervento. Franco Angeli.
Winnicott D.W. (1956), Sulla traslazione. Tr. it. in, Setting e processo psicoanalitico, Raffaello Cortina Editore.
Hoyt. M.F (2018) Psicoterapie brevi: principi e pratiche. Cisu.

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