Il termine resilienza è molto usato in ambito psicologico. Ma ne conosciamo veramente il suo valore all’interno del processo terapeutico?

Da psicologi siamo stati perfettamente addestrati, o quasi, a riconoscere sempre segni e sintomi di una patologia e quindi alla formulazione di una diagnosi clinica.

Per molto tempo, infatti, le discipline psicologiche hanno operato orientandosi dunque sugli aspetti disfunzionali del comportamento e del pensiero delle persone. Questa modalità di intervento ha inevitabilmente orientato i clinici verso la strutturazione di percorsi terapeutici che fossero, nella maggior parte dei casi, orientati all’estinzione del sintomo e alla guarigione senza tener conto delle reali motivazioni del cliente.

Tale condizione ha alimentato sempre di più l’idea che, all’interno della relazione terapeutica, fosse il clinico a dover stabilire il da farsi generando una relegazione del cliente ad una posizione down e quindi di incompetenza relativamente alla risoluzione del problema.

Il valore della resilienza

Con l’avvento delle Terapie Brevi si è cercato di invertire questa tendenza e nell’articolo di oggi proviamo a capire come focalizzandoci su quella tipologia di clienti che arriva nel nostro studio perché ha vissuto un evento traumatico che

Sebbene la letteratura sia estremamente ricca di contributi che descrivono le conseguenze negative che si originano dall’esposizione ad un evento traumatico, poco viene raccontato invece su chi, nonostante grandi sofferenze, non sviluppa sintomi o disturbi psichici in seguito ad un evento negativo della propria vita. Né tanto meno si parla approfonditamente di quelle risorse che le persone attivano per sopravvivere ad un evento drammatico, pur probabilmente sperimentando disagi di natura emotiva e comportamentale.

È incredibile se pensiamo che la maggior parte delle persone che vive un evento traumatico nella propria vita non sviluppa poi alcun disturbo. Oppure se manifesta alcuni sintomi è in grado, comunque, di fronteggiarli e sopravvivere agli stessi. Come possiamo spiegare un fenomeno del genere?

Per dirla con una parola molto in voga nell’ambito della psicologia, si chiama resilienza. Un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.

L’emersione della resilienza

Gran parte delle persone che incontriamo nei nostri studi, in modo particolare quelli che hanno vissuto dei drammi immensi, quando arrivano sono totalmente centrate sul dolore ma anche e soprattutto su quanto al momento non funziona nella loro vita. Molte di queste persone, infatti, escludono di possedere risorse incredibili dalle quali attingere per guarire o semplicemente stare meglio.

Le Terapie Brevi ci vengono in soccorso, suggerendoci alcune strategie da mettere in campo in ambito clinico al fine di promuovere l’emersione delle risorse nei nostri clienti. Vediamone alcune:

. Vediamone alcune:

  1. Cercare le eccezioni: Un buon modo per esplorare la resilienza è quello di chiedere informazioni dettagliate su quelle volte in cui la persona ha vissuto un evento considerato traumatico e/doloroso e lo ha gestito in maniera efficace. Cosa è successo in quella occasione? Cosa ha innescato l’evento e come la persona ne è uscita? Oppure cosa ha fatto per non peggiorare la situazione?
  2. Promuovere la “Solution Talk”: focalizzarsi sul problema attraverso discussioni dettagliate rispetto a come lo stesso si è manifestato, dove, come e quando, alimenta la produzione di cortisolo, ormone dello stress coinvolto anche negli stati depressivi e ansiosi. Focalizzarsi sulle soluzioni al problema aiuta le persone a svincolarsi dalla percezione negativa associata all’evento traumatico.
  3. Da vittima a sopravvissuto: è molto importante aiutare la persona a svincolarsi da etichette, una fra tutte ad esempio quella di “vittima”. Per far sì che tale cambiamento avvenga nel paziente è importante che avvenga prima nel terapeuta. Egli infatti dovrebbe guardare al cliente con una nuova lente, quella che gli permette di dire “questo è ciò che è successo alla persona non quello che la persona è”. È possibile aiutare la persona, con specifiche domande, a capire quali differenze noterebbe se decidesse di vivere come una vittima o al contrario come un sopravvissuto. Quale atteggiamento gli sarebbe più utile?

Se vuoi approfondire l’argomento o vuoi saperne di più sugli approcci di Psicoterapia Breve, partecipa al prossimo open day il 13 Dicembre. clicca qui per prenotare il tuo posto.

Simonetta Bonadies
Psicologa Psicoterapeuta
Team dell’Italian Center For Single Session Therapy

 

Scarica gratis l'ebook sulle Terapie Brevi

Bibliografia

  • De Shazer S. (1984), “The death of resistance”, Family Process, 23 (11), 11-17.
  • Duncan, B. L., Hubble,M. A., & Miller, S. D. (1997). Psychotherapy with ‘Impossible’ cases. The efficient treatment of therapy veterans. New York: Norton.
  • Duncan B. L., Miller S.D. (2000), “The client’s theory of change: consulting the client in the integrative process”, Journal of Psychoterapy Integration, 10 (2), 169-187
  • Fredrike P. Bannink, MDR Posttraumatic success: Solution Focused Brief Therapy. Published by Oxford University Press, 2008.