Carla mi consegna il foglio con i punteggi della Session Rating Scale (SRS), dove ha valutato l’incontro di oggi. Noto subito che la valutazione su “Approccio o metodo” è, seppur di poco, la più bassa di tutte.
– Carla – chiedo mentre misuro con il righello le sottoscale, – cosa ti avrebbe fatto piacere vedere di diverso per farti sentire che l’approccio di oggi era più calzato alle tue esigenze?
– Non lo so – risponde, elusiva come la più tipica delle quindicenni.
Sorrido. – Supponi di saperlo.
Perde lo sguardo sul pavimento, poi, senza rialzarlo, sussurra: – Mi sarebbe piaciuto ricevere qualche tuo consiglio.
– Qualche consiglio? – Alzo gli occhi su di lei.
Annuisce.
– Ok – proseguo. – Quindi se la prossima volta ti dessi qualche consiglio sentiresti che i nostri incontri sono più adatti a te?
Annuisce.
Sorrido di nuovo. – Va bene. Ehi, comunque abbiamo un 34,2 come punteggio: siamo appena sotto la soglia dell’alleanza, ma stiamo andando bene. La volta prossima controlleremo se siamo andati meglio.
La volta successiva il punteggio sarà di 36,9, sopra la soglia dell’alleanza.
Guidare senza cartina
La cosa che più mi ha colpito del caso di Carla, tanto da farmelo raccontare in diverse occasioni ai miei allievi, era questa: per tutta quella seduta le avevo chiesto più volte se stessimo procedendo bene, ricevendo piccole ma precise affermazioni. Stavo seguendo il modello di Terapia Breve Centrata sulla Soluzione, ad oggi il mio preferito, aiutandola con le domande a trovare una soluzione ai suoi problemi con l’alimentazione e con l’immagine del suo corpo. E stavamo procedendo bene.
Eravamo alla terza seduta e l’ORS (l’Outcome Rating Scale – per una sintesi operativa di questi due strumenti si veda l’articolo di Valeria Campinoti) aveva mostrato già dei miglioramenti, sebbene fossimo ancora sotto la soglia del benessere. In più, sebbene la TBCS non lo preveda formalmente, ogni tanto mi premuravo di chiedere a Carla:
“Siamo in linea? Hanno senso queste domande? C’è qualcosa che vorresti chiedermi?”.
“Sì. Sì. No.”
Risposte lapidarie, occhi al pavimento, ma mi sentivo piuttosto tranquillo: avevo indagato accuratamente diverse aree della sua vita e l’ORS, appunto, ci mostrava che stavamo ottenendo dei risultati.
Cosa avrei dovuto temere? Carla era unica, come ogni persona, ma avevo già sperimentato ampiamente la TBCS con gli adolescenti, trovandola fantastica.
E poi quella frase: “Mi sarebbe piaciuto ricevere qualche tuo consiglio”.
Capire se la rotta è giusta
Le due volte precedenti l’alleanza era stata sul filo della soglia: 35,8 e 35,6, quando il minimo dovrebbe essere 36. “Dobbiamo assestarci” avevo pensato.
Naturalmente le avevo chiesto dei feedback, ma mi aveva risposto di un fiato: “No, no, va bene così, non c’è niente che non va”.
E ora… “Mi sarebbe piaciuto ricevere qualche tuo consiglio”.
È incredibile come si può essere ciechi nel perseguire il proprio metodo.
Fatemi spezzare una lancia in mio favore: sono genuinamente convinto che non avrei potuto cogliere in alcun modo che Carla desiderasse questo cambiamento nel nostro modo di lavorare. Perché glielo avevo chiesto in corso d’opera (“C’è qualcosa che vorresti chiedermi?”), perché la terapia stava procedendo bene (l’ORS, che riporta il benessere globale della persona, stava salendo) e perché con altri suoi coetanei la TBCS, che non prevede che il terapeuta “dia consigli” (nel senso che non prevede un terapeuta che proponga strategie, né che abbia un approccio confrontativo, come potrebbe fare la Terapia Strategica), aveva funzionato alla grande.
No, se non avessi visto quel valore sulla SRS e non avessi fatto quella domanda così specifica, sarei andato avanti nello stesso modo, convinto dai risultati della terapia.
E probabilmente avrei sbagliato.
L’alleanza è tutto
Il 97% dei risultati tra un terapeuta bravo e uno meno bravo sono legati alla miglior capacità del primo di ottenere una buona alleanza terapeutica (Miller et al., 2020).
Certo, con Carla andavamo bene, in termini di risultati, ma di seduta in seduta la SRS aveva mostrato un lento ma costante declino dei punteggi della nostra alleanza terapeutica. Che è il primo predittore di drop-out o di esito negativo.
Carla non era la mia prima paziente. Il caso risale al 2021. La mia esperienza era certamente consolidata, ma il problema è che certi aspetti non puoi coglierli semplicemente “con l’esperienza”: l’unicità della persona, a cui avevo fatto accenno poco fa, si manifesta anche in questo.
Non sarebbe stato strano se, nelle sedute successive, ci fossimo trovati di fronte a un’impasse, a una stazionarietà dei risultati o addirittura a un loro lento declino. Certo, in quel caso avrei cercato di capire cosa stesse succedendo e avrei aggiustato la rotta di conseguenza. Ma il vantaggio è che l’SRS ci ha permesso di non arrivare lì, salvando e, anzi, rinforzando l’alleanza già nella seduta successiva.
Misurare l’alleanza per diventare un terapeuta migliore
Nel 2015 ho iniziato a studiare il Feedback Informed Treatment, fino ad arrivare a conoscere e formarmi con Scott Miller. Da allora, usandolo, ho imparato a conoscere ancora meglio ogni singola persona che si siede di fronte a me, ogni singola seduta che stiamo facendo insieme, e ogni mio singolare modo di lavorare con ciascuna di esse.
Dal 2022, con presso il nostro Istituto ICNOS, ho iniziato a formare i colleghi in questo metodo. Oggi non posso più farne a meno.
Kahneman è solo l’ultimo di una lunga fila di autorevoli studiosi ad averci dimostrato che la misura “ad occhio” è fallace. E vale anche per gli psicoterapeuti.
Possiamo dirci che non è così, che noi siamo bravi, che “ci conosciamo” o che conosciamo i nostri pazienti, che il nostro metodo è differente da “quello degli altri”… Ma la verità è che, se vogliamo definirci psicologi o psicoterapeuti dobbiamo prendere in considerazione i dati, e i dati ci dicono che le misure autoreferenziali non valgono un bel niente.
Misurare l’alleanza con l’SRS ha dimostrato essere un tassello fondamentale per migliorare l’efficacia con i singoli pazienti e in generale nel proprio modo di fare psicoterapia (Prescott et al., 2017). È solo il primo tassello del movimento di routine outcome monitoring, il monitoraggio costante dei risultati, ed è fondamentale che tutti i terapeuti, a prescindere dall’approccio, comincino a integrarlo nella propria pratica.
Dr Flavio Cannistrà
Co-Fondatore Italian Center for Single Session Therapy
Co-Direttore Istituto ICNOS
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Riferimenti bibliografici
Miller, S. et al. (2020). Better results. APA.
Prescott, D. et al. (2017). Feedback Informed Treatment. APA.