Un caso clinico di Angelica Giannetti con la Terapia a Seduta Singola

“La Signora M. di 47 anni, ha una figlia di 16 e, da otto mesi partecipa a un gruppo di sostegno della genitorialità […] A metà del percorso richiede esplicitamente un solo colloquio individuale per approfondire alcune tematiche personali. Al colloquio era presente anche l’educatore del servizio.”

Prima di tutto si introduce la TSS “Prima di cominciare vorrei fare una premessa: posto che la mia porta rimane sempre aperta, ci sono alcune persone che già dopo una seduta sentono di aver trovato quello di cui avevano bisogno e vogliono provare a continuare da sole. Altre, invece, sentono di aver bisogno di altri incontri ed insieme decidiamo di prendere un altro appuntamento. Vanno bene entrambe le situazioni, perché ogni persona è diversa dall’altra. Glielo dico perché così, alla fine della seduta, mi dirà se pensa di aver bisogno di un altro appuntamento o se questo di oggi è stato sufficiente, posto che la mia porta rimane sempre aperta”

La signora esordisce che avrebbe bisogno di fare il punto della situazione che sta vivendo. In particolare degli aspetti affettivi e relazionali. Ha fatto percorsi terapeutici in passato ma sente il bisogno di approfondire ulteriormente.

Cosi, inizia a raccontare le sue storia passate, sia la relazione con il padre di sua figlia che di una a distanza, durata due anni.

A questo punto il terapeuta interviene cercando di priorizzare il problema che la donna riporta o l’obiettivo che intende raggiungere.

La signora afferma che vorrebbe capire perché sceglie sempre le persone sbagliate dal momento che ha paura che capiterà la stessa cosa a sua figlia.

Quindi l’obiettivo è di capire quali sono le dinamiche che la portano a intraprendere relazioni che sono o assolute in cui si  perde o amori superficiali verso cui perde subito interesse.

Cosi l’esplorazione inizia dalla storia più recente conclusa. La signora descrive la mancanza di entusiasmo, di volontà di approfondire il legame, di poco coinvolgimento; lo definisce come un amore adolescenziale.

La relazione con il suo primo amore è stato completamente diverso: dice di essere stata lasciata e di aver sofferto per un legame che sentiva molto forte e verso il quale provava sentimenti di inadeguatezza. Considerava il ragazzo superiore a lei e ricorda una grande sofferenza dovuta probabilmente al passato abbandonino paterno.

A questo punto la signora realizza che la scelta degli uomini da quel momento è stata dettata dalla paura di rimanere da sola; non sceglie gli uomini per amori o per stima, ma per paura. La stessa situazione è accaduta anche con il padre della figlia.

Riflette su come tale dinamica si riversa anche nelle relazioni amicali in cui ha paura di sperimentare la solitudine.

Afferma: “Mi sento sola, non mi sento all’altezza. Mi spaventa la dipendenza dall’altro, perché poi mi può lasciare, facendomi morire psicologicamente.“

 

Nella fase iniziale, si definisce il problema per cui la persona richiede il colloquio: si esplora quindi come funziona il problema, con domande finalizzate a ottenere una diagnosi operativa, che consente di avere un quadro di come il problema si presenta nella vita della persona.

 

S’indaga il Come, il Dove, il Quando e il con Chi.

“Cosa significa per lei essere avere paura? “Ci sono ambiti della sua vita in cui questo non accade?

“Succede con tutti o solo con alcune persone?”  “Le capita sempre o solo in alcuni momenti?”

 

In questo modo si giunge a una definizione operativa del problema: sensazioni, pensieri, attitudini, comportamenti della persona.

Un altro passaggio fondamentale è definire l’obiettivo del paziente: “Se avessi solo la seduta di oggi, su cosa vorresti concentrarti?”

Se la persona ne porta più di uno, s’identifica la sua priorità, distinguendo tra l’obiettivo della seduta e l’obiettivo della terapia, cioè l’obiettivo finale  che si raggiunge con la realizzazione degli obiettivi delle sedute.

 

Durante tutta la seduta è importante chiedere feedback alla persona, per capire se si è in rotta con quello che sta dicendo o se si sta deragliando dall’argomento.

“Dunque, mi corregga se sbaglio: se ho ben capito lei ha detto che […], giusto? È su questo che vuole lavorare oggi?”

“Mi perdoni, stiamo parlando sempre di […], giusto?” “Quindi, se ho capito bene, lei intende dire che…?”

 

Il terapeuta osserva che la scelta dell’uomo avviene secondo un focus personale, dei bisogni della signora e non di quelli dell’altro. Il terapeuta riflette che la relazione è qualcosa di più della somma delle due parti che la compongono; accetta l’ignoto e il rischio di mettersi in gioco, anche di fronte a un probabile fallimento.

Così il terapeuta chiede se ci siano state situazioni in cui la signora ha vissuto una cosa del genere e la signora risponde di si e ricorda che è successo per la sua gravidanza. Dice che ha scelto di portarla avanti  nonostante fosse figlia di un uomo che non amava e non l’amava, compiendo un salto nel vuoto.

Il terapeuta osserva che in quella circostanza la signora è riuscita a concentrarsi solo sulla figlia e a creare una relazione che fosse autentica e gratuita, trovando le risorse necessarie ad affrontare gli eventuali rischi della relazione, ma ottenendo: “La cosa migliore della mia vita”. Quindi possiede le capacità per costruire una relazione sana e svincolata dai propri bisogni.

Infine il terapeuta le chiede: “ In che modo si sentirebbe o cosa farebbe di diverso se nell’incontro con l’altro non dovesse fin da subito impegnarsi in una relazione stabile?” La signora sorridendo risponde:”Probabilmente mi sentirei più libera! Non dovrei per forza dimostrare qualcosa!”

 

Nella fase mediana si procede individuando:

  1. Le risorse della persona: tutto ciò che la persona possiede di cognitivo, emotivo, attitudinale, comportamentale o un elementi esterni come famiglia o  amici, che possono essere utili a risolvere il problema. S’indaga come abbia fatto ad affrontare o resistere a una situazione difficile.

 

  1. La teoria del cambiamento del cliente: cosa la persona pensa che tenga in vita il problema e cosa può servire per risolverlo.

 

“Di che cosa avrebbe bisogno per risolvere il problema?”

“Cos’è che devi fare, secondo te, per raggiungere il tuo obiettivo?”

“Per molte persone è sufficiente una singola sessione con un terapeuta per agire: quale sarebbe il passo più piccolo che ti direbbe che stai andando verso la giusta direzione?”

 

  1. Le eccezioni al problema: in quali situazioni il problema non si è verificato o la persona è risciuto ad affrontarlo.

 

  1. Le tentate soluzioni disfunzionali:  ciò che la persona sta facendo in risposta al suo problema, per tentare di risolverlo, ma che in realtà lo mantiene o addirittura lo peggiora.

 

“Cosa hai tentato di fare fin qui, per affrontare il problema? Cos’è che non ha funzionato?”

“Mi sembra che fare questa cosa non ti abbia aiutato molto: forse è meglio cambiare strategia?”

 

“Il terapeuta invita la signora a fare esperienza proprio di ciò che teme di più: l’incertezza e il mettersi in gioco nell’incontro con l’altro. Le chiede di provare a sperimentarsi senza la sensazione di dover dimostrare qualcosa, ma al contrario, sentendosi libera di essere ciò che è.  La signora ringrazia per averla aiutata a prendere in esame un nuovo punto di vista e di aver messo a fuoco più chiaramente il suo vissuto e le dinamiche che la portano a scegliere un tipo di uomo.

Sostiene di sentire di poter continuare da sola e di non aver bisogno di un altro colloquio.

 

L’ultima fase serve per:

Valutare se ci sono domande che non sono state fatte; Dare un compito o un esercizio: in questo modo la persona avrà modo di sperimentare i benefici nella vita di tutti i giorni, al di fuori della terapia; Si esplicita la “porta aperta”:  “Bene, mi sembra che sono emerse un bel po’ di cose in questo nostro incontro, vero? E mi sembra che lei abbia davvero parecchie risorse, complimenti di nuovo. Ora cosa vuole fare? Posto che la mia porta rimane sempre aperta per lei, pensa di voler prendere un altro incontro o crede che potremmo risentirci tra 2-3 settimane, vedere come va, e poi decidere?”

 

Infine si stabilisce il follow up: Il terapeuta deciderà con il paziente la modalità migliore: al telefono, via email, per messaggi oppure attraverso un incontro “di controllo” che solitamente si svolgerà dopo 1, 3, 6 e 12 mesi.

 

Se vuoi maggiori informazioni sulla Terapia a Seduta Singola, visita il sito www.terapiasedutasingola.it

 

Bibliografia

 Cannistrà, F. Piccirilli. Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti editore

Scarica gratis l'ebook sulle Terapie Brevi