Quante volte ti sarà capitato di pensare a una situazione che vivi in maniera ricorrente e arrovellarti così tanto perché non sai da dove partire per metterci un punto fermo, per non farla capitare più o per far sì che un tuo familiare o il tuo partner non la tiri fuori nei vostri discorsi quotidiani e la usi contro di te?

Soprattutto quando la situazione in questione riguarda i tuoi bambini, che tu sia mamma o papà, il senso di inadeguatezza che ti porti dietro per non riuscire a risolverla alimenta ancor di più una ricerca di soluzioni senza successo, mentre le tue preoccupazioni si ingigantiscono perché quelli sono i tuoi bambini e tu non sai come poterli aiutare.

Non sempre continuare a pensare o a parlare di un problema porta alla sua risoluzione: a volte tutto ciò che occorre è un cambio di strategia.

Un approccio che non si sofferma affatto, o lo fa in minima parte, su qual è il problema e su come nasce è la Terapia Breve Centrata sulla Soluzione.

Non si tratta di un modo rapido e veloce di fare terapia, quanto piuttosto di un intervento mirato che nel numero di incontri necessari, e non uno di più, porta la persona a lavorare sui propri obiettivi futuri, di modo che anche un piccolo cambiamento in positivo sia in grado di produrre da solo un effetto a cascata.

Il focus si sposta dal problema alle risorse della persona: riconoscerle le permetterà di utilizzarle sempre di più nelle situazioni di bisogno e notare che quello che sta facendo produce già dei miglioramenti. Un punto forte di questo approccio sta nella sua flessibile applicazione a diversi contesti di vita e lavoro, non solo per dei percorsi di terapia individuale ma anche di coppia, di gruppo e familiare.

Quando mamma e papà chiedono aiuto

La maggior parte degli studi pervenuti finora sull’adozione della Terapia Breve Centrata sulla Soluzione riporta la richiesta d’aiuto da parte di un genitore, o di entrambi i genitori, per affrontare specifici problemi comportamentali che hanno individuato nei propri bambini o che sono stati portati alla loro attenzione da altri familiari o dagli insegnanti.

I bambini, si sa, sono spesso molto vivaci e curiosi del mondo, faticano a mantenere l’attenzione, sono sempre in movimento e possono non andare sempre d’accordo con fratelli e sorelle minori, mostrando aggressività o scarso autocontrollo.

Non sempre tutto questo è la spia di un qualche grave disagio, però è bene intervenire qualora le solite soluzioni, premi, punizioni e rimproveri, non sembrano andare più a segno come prima.

A volte, invece, a preoccupare è il comportamento opposto: ci sono bambini che fin da piccoli tendono a tenersi tutto dentro e a sperimentare un forte iper-controllo dei propri stati emotivi e cognitivi.

Il rischio è che questi bambini stiano manifestando i primi sintomi dell’ansia o della depressione, come ad esempio un marcato rifiuto di andare a scuola, l’evitamento dei propri compagni o delle vere e proprie somatizzazioni, ossia manifestazioni del proprio disagio a un livello corporeo, tramite mal di testa, mal di stomaco, vertigini, senso di debolezza.

Queste condizioni, se non trattate per tempo e nel modo corretto, potrebbero incidere negativamente sul loro stato di salute e sul loro comportamento sociale una volta adolescenti.

Cosa aspettarsi, allora, dalla Terapia Breve Centrata sulla Soluzione?

Tante possibilità.

Preferibilmente un terapeuta breve lavora in modo indiretto con i bambini, ossia prendendone in carico i genitori, ma non è escluso che insieme si decida di coinvolgere anche i figli.

Ciò avviene, in genere, dai tre anni in su quando sono in grado di comprendere le domande del terapeuta e di rispondervi nella maniera più adeguata alla loro fascia d’età.

Cosa avviene nella stanza di terapia?

In questi casi, stravolgendo un po’ il classico protocollo della Terapia Breve Centrata sulla Soluzione, è preferibile che, in un primo momento, il terapeuta si focalizzi su esperienze che la famiglia ha vissuto nel passato piuttosto che su un futuro ipotetico o ideale.

In questo modo, il suo intervento sarà più utile perché permetterà un maggiore coinvolgimento dei più piccoli grazie a del materiale meno astratto: infatti, a differenza degli adulti, i bambini maturano le loro capacità prospettiche soltanto col tempo.

Per catturarne l’attenzione fin da subito, e garantirsi la loro compliance, per il terapeuta è più facile prepararsi il terreno con domande a risposta chiusa prima di passare a quelle con risposta aperta.

Ciò consente ai bambini di fornire risposte semplici a domande semplici, per poi, in un secondo momento, ampliare il campo con risposte più ponderate.

Il linguaggio verbale così impostato dà maggiori frutti quando si affianca a quello non verbale: ai bambini spesso si può chiedere di mostrare in seduta in che modo fanno qualcosa, ad esempio cosa fanno per mettersi in fila a scuola o come si comportano quando svolgono altre attività, quasi come in un gioco di ruolo.

L’importante è riprendere sempre situazioni contingenti e provare a chiedere loro come hanno fatto a diventare così bravi o come potrebbero insegnarlo ai compagni o a mamma e a papà.

In conclusione…

Questo lavoro è sicuramente diverso da quello portato avanti solo con i genitori: il modo in cui tutto il nucleo familiare si sente partecipe del cambiamento avvenuto consente di non pensare al bambino come colui che “ha o è il problema”. Ciò rende i genitori capaci di riconoscere le capacità non solo dei loro figli ma anche le proprie, alimentando il proprio senso di competenza e dando più spazio alle risorse che posseggono e alla fiducia reciproca piuttosto che al conflitto.

 

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BIBLIOGRAFIA

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Woods, K., Bond, C., Humphrey, N., Symes, W., & Green, L. (2011). Systematic review of Solution Focused Brief Therapy (SFBT) with children and families. London: Department for Education.