Prendiamo decisioni ogni giorno

Senza rendercene conto, decidiamo come fare colazione, cosa indossare e che strada percorrere per andare a lavoro. Dubbi di questo tipo, e di più complessi, vengono sciolti grazie a una regione del nostro cervello chiamata “corteccia prefrontale” (Funahashi & Andreau, 2013).

Essa occupa la parte più anteriore dei lobi frontali e attraverso connessioni con le aree motorie, percettive e limbiche del cervello, integra le nostre conoscenze, le nostre emozioni e le informazioni provenienti dal contesto fisico e sociale per consentirci di attuare comportamenti orientati a un obiettivo.

Tuttavia, per quanto sembra che uno stesso problema possa vantare più soluzioni, una non vale l’altra: infatti, la corteccia prefrontale ci fa dono di spiccate capacità di pianificazione e monitoraggio per le quali valutiamo e selezioniamo, tra tutte le alternative possibili, solo quelle che riteniamo per noi più adeguate (Funahashi, 2017).

Queste facoltà sono tra le più sofisticate e preziose di cui la nostra specie dispone. Non sono innate.

Il loro sviluppo dipende dalla somma delle nostre esperienze e dalla naturale crescita del nostro cervello, che avviene con ritmi differenti dalla nuca alla fronte.

E in questa sede l’ultima regione a stabilizzarsi è proprio la corteccia prefrontale, la cui maturazione giunge a compimento intorno ai trent’anni.

Ma attenzione!

Ciò non vuol dire, ad esempio, che non siamo in grado di prendere decisioni in maniera efficace ed efficiente fino a quell’età: basti pensare a come anche i bambini e gli adolescenti risolvano i loro problemi o raggiungano i loro obiettivi ogni giorno (Funahashi & Andreau, 2013).

Semplicemente, esperienza dopo esperienza, mettiamo in moto i nostri neuroni affinando sempre di più le nostre competenze e abilità.

Quando la decisione è importante

Che si tratti di togliersi un dubbio o di selezionare una tra due alternative ugualmente valide, prendere una decisione su una questione che riteniamo importante può farci sentire bloccati.

Ciò accade perché, il più delle volte, o siamo troppo focalizzati su un problema da non vederne le soluzioni o la natura stessa del problema non ci è chiara (McKergow, 2016).

Per aiutare le persone a uscire da queste situazioni di stallo, Insoo Kim Berg e Steve de Shazer hanno sviluppato un modello di terapia breve innovativo: la Terapia Breve Centrata sulla Soluzione (Shazer & Dolan, 2007).

Si tratta di un approccio orientato al dialogo che guarda alla persona come l’unica esperta della propria vita, in grado, pertanto, di costruire da sola le proprie soluzioni dietro la guida non direttiva del terapeuta.

La svolta, rispetto ad altri modelli di psicoterapia, sta nel fatto che questi è interessato a conoscere la persona che ha davanti a sé e le sue potenziali risorse… senza però soffermarsi sul problema!

Il terapeuta, infatti, ricerca insieme al cliente tutti quei momenti in cui il problema non si verifica o è meno presente: è proprio in queste “eccezioni” che vanno ricercate alcune delle soluzioni messe efficacemente in atto dal cliente e alle quali verrà posta maggiore attenzione.

Chiedendogli una descrizione dettagliata delle azioni compiute, delle persone coinvolte e del proprio atteggiamento mentale in quelle occasioni, il terapeuta semina l’idea di un futuro non solo possibile ma creabile (Cannistrà & Piccirilli, 2021).

In questo modo, anche per prendere una decisione importante il cliente sarà già un passo più vicino al proprio obiettivo.

Le domande giuste al momento giusto

Per far sì che la persona giunga alla decisione per sé più ottimale, la Terapia Breve Centrata sulla Soluzione prevede che il terapeuta non si affidi a protocolli specifici ma a domande mirate che aprano una piccola breccia sul futuro desiderato dal cliente.

Di fronte a una specifica domanda, infatti, la mente del cliente si mette in moto per trovare una risposta che già possiede o per cominciare a costruirla a partire dalle proprie risorse: un ottimo allenamento per la corteccia prefrontale (McKergow, 2016).

Generalmente il terapeuta comincia dall’indagare le migliori aspettative che il cliente nutre circa il loro incontro, per poi passare a un piano immaginario in cui queste si sono realizzate e al cliente viene chiesto da chi o cosa potrebbe notarlo (Shazer & Dolan, 2007).

Nello specifico, il terapeuta lo incalza a riportare degli esempi, a immaginare dei dettagli piccoli ma concreti che gli farebbero dire di vivere la sua vita o, ancor più semplicemente, la sua giornata, senza il problema.

Ci si muove su un terreno in continua costruzione, dove ogni domanda del terapeuta è attentamente calibrata sulle frasi e sulle parole pronunciate dal cliente: figurarsi uno scenario oltre la decisione permette alla persona di ampliare il proprio ventaglio di possibilità e cominciare, così, a pianificare una sequenza di azioni che punti al raggiungimento dell’obiettivo.

In conclusione…

Con l’aiuto della Terapia Breve Centrata sulla Soluzione, la persona, dopo essersi focalizzata su cosa riesce a fare piuttosto che rimuginare sul contrario, può prendere la sua decisione con una maggiore consapevolezza delle proprie risorse e dei propri punti di forza (McKergow, 2016).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2021). Terapia breve centrata sulla soluzione: Principi e pratiche. EPC srl.

Funahashi, S. (2017). Prefrontal contribution to decision-making under free-choice conditions. Frontiers in neuroscience, 11, 431.

Funahashi, S., & Andreau, J. M. (2013). Prefrontal cortex and neural mechanisms of executive function. Journal of Physiology-Paris, 107(6), 471-482.

McKergow, M. (2016). Better Decision Making with Solution Focused Coaching. InterAction: The Journal of Solution Focus in Organisations, 8(2).

Shazer, D. S., & Dolan, Y. (2007). More Than Miracles: The State of the Art of Solution-Focused Brief Therapy (Routledge Mental Health Classic