La diffusione delle psicoterapie brevi negli ultimi anni ha visto un incremento degno di attenzione, sia nell’ambito privato che in quello pubblico.

La possibilità di avere cure in tempi brevi interessa infatti tutti i fruitori dei servizi sanitari, non solo per quanto riguarda la salute mentale ma più in generale in ogni settore della sanità.

Questo cambiamento, che potremmo dire avvenga dal basso come espressione di un bisogno degli utenti, non può lasciare indifferenti psicologi e psicoterapeuti che abbiano a cuore la propria professione e le necessità dei propri clienti.

Se da un lato i pazienti di oggi sono diventati più consapevoli e partecipi al processo di cura, è vero anche che oltre alla qualità del servizio essi cerchino cure più vantaggiose anche dal punto di vista economico. Di fronte al fenomeno della sanità negata – vale a dire la difficoltà di accedere ai servizi sanitari pubblici per le lunghe liste di attesa – le persone spesso sono costrette a ripiegare sul privato per risolvere i propri problemi di salute e questo influisce sulla scelta di terapie meno costose.

Ma oltre al vantaggio economico, ci si può chiedere: è meglio la terapia breve o quella lunga?

Mettendomi nei panni di un potenziale cliente in cerca di informazioni, riassumo brevemente le differenze tra i due tipi di terapia.

 

Terapie brevi e terapie lunghe a confronto

  • EFFICACIA: Togliamoci subito il dente: quanto a efficacia, i metodi a breve e a lungo termine sono entrambi efficaci. Ma, a fronte di un’efficacia dimostrata scientificamente per tutti gli approcci, fare tante sedute non è meglio che farne poche. Purtroppo ancora prevale la visione della psicoterapia come “se non è profonda è inefficace; se è breve non è profonda” (Bartoletti, 2005). Ma molti studi hanno dimostrato che gli effetti delle terapie brevi sono stabili e strutturali: la durata dunque non definisce la qualità della terapia.
  • DURATA: per definizione, l’accento delle terapie brevi è posto proprio sulla durata ma non sempre breve significa veloce, piuttosto “sensibile al fattore tempo” (Hoyt, 2018). Nel caso delle terapie brevi possiamo parlare di time-limited, cioè al di là del numero delle sedute, la terapia dura il minor numero di sessioni possibili. In genere, una terapia breve può durare dalle 5 alle 20 sedute. Per quanto riguarda invece le terapie lunghe, si parla di terapie open-ended, dove non è stabilito a priori un limite temporale alla durata della terapia, mentre alcuni modelli di terapie lunghe sono atemporali o never-ending: continua perché è sempre utile.
  • FOCUS: Sebbene andrebbero fatti dei distinguo in base ai diversi approcci, in linea generale possiamo dire che nelle terapie lunghe l’obiettivo finale è la cura del disturbo del paziente. Questo viene cercato attraverso l’analisi del passato e lo svelamento di conflitti interni. Grazie all’insight e all’interpretazione il paziente scopre parti di sé che porterebbero al cambiamento.
    Nelle terapie brevi invece il focus è dare maggiore autonomia possibile al cliente nel più breve tempo possibile, in un clima di cooperazione positiva. La definizione dell’obiettivo è centrale in tutte le terapie brevi ed è concordata con il cliente. Non è presente una nozione di cura, piuttosto si cerca la soluzione al problema in un’ottica orientata al presente e al futuro.
  • RUOLO DEL PAZIENTE/CLIENTE: Come accennato, le terapie brevi puntano a individuare i punti di forza della persona e a mobilitare le sue risorse verso il cambiamento. La persona assume un ruolo centrale e attivo nel processo terapeutico e il terapeuta rispetta i suoi tempi, il suo sistema di riferimento e la sua idea di cambiamento.
    Nelle terapie lunghe si assegna particolare enfasi al sintomo portato dal paziente e alla sua storia. Il suo ruolo risulta più passivo rispetto alla teoria di riferimento del terapeuta ed eventuali suoi blocchi o difese sono interpretati come una resistenza al cambiamento.
  • RUOLO DEL TERAPEUTA: Nelle terapie lunghe il terapeuta ha un ruolo neutrale e piuttosto passivo, creando una sorta di distacco che favorisce la riflessione e l’insight del paziente. Rispetto alla terapia, ritiene la sua presenza necessaria per i cambiamenti significativi del paziente, avendo alle spalle una precisa teoria del cambiamento a cui fa riferimento.
    Nelle terapie brevi il terapeuta si pone con un ruolo più attivo rispetto alle terapie lunghe, soprattutto quelle più ortodosse. Esso si pone con uno stile diretto e chiaro verso il cliente, assumendosi maggiore responsabilità nella terapia. Ha un atteggiamento flessibile che si adatta alla persona che ha davanti, è capace di fare un passo indietro rispetto alla sua teoria di cambiamento.

Il cambiamento nelle terapie lunghe e in quelle brevi 

Nel pensiero comune, così come per la maggior parte degli psicologi, si presuppone che il cambiamento psicologico richieda necessariamente un’analisi profonda ed interpretativa degli eventi vissuti dal paziente affinché questo cambiamento sia davvero curativo e duraturo.

In realtà questo è un mito che affonda le radici nella pratica e nel metodo della psicoanalisi ed ha col tempo permeato non solo altri approcci terapeutici ma anche la cultura della società moderna.

Cercare le cause di un problema e dare una linearità temporale al complesso mondo interiore del paziente spesso non porta a una risoluzione del disturbo.

Mentre nelle terapie lunghe ci si aspetta che il cambiamento avvenga durante la seduta, cercando “ciò che è nascosto”, nelle terapie brevi invece si crede che questo avvenga dopo la seduta, nella vita di tutti i giorni del paziente. Inoltre si ha l’aspettativa che il cambiamento possa avvenire sul momento o comunque in tempi brevi e che sia alla portata di tutti.

 

I vantaggi delle terapie brevi nella società contemporanea 

In tempi di crisi, come durante le guerre mondiali del secolo scorso, si era posta per la prima volta la necessità di abbreviare le terapie per dare un sollievo più immediato a chi viveva le conseguenze belliche. Oggi, scossa da altri tipi di eventi parimenti tragici, la società contemporanea deve cercare di dare risposte più rapide ai bisogni delle persone.

Le terapie lunghe comportano costi elevati per il singolo paziente, ma anche per i servizi sanitari laddove il terapeuta lavori in una struttura. Inoltre, se non focalizzate, possono mantenere alcuni concetti patologici e rafforzare l’idea che la terapia sia sempre necessaria.

Scopo comune delle terapie brevi è quello di aumentare l’efficienza del trattamento, modificando il ruolo del terapeuta e del paziente.

In conclusione…

Le terapie brevi presentano in questo senso diversi vantaggi che riassumerò in 7 punti:

  1. Ottimizzare il tempo di ogni seduta con un’intenzionalità mirata e precisa
  2. Aumentare il numero di utenti che accedono ai servizi di salute mentale
  3. Diminuire il drop-out dalla terapia a causa dei tempi eccessivamente lunghi
  4. Impatto positivo sulla sanità pubblica per la riduzione dei costi
  5. Economicamente più vantaggiosi per i clienti
  6. Favorire l’empowerment del paziente
  7. Riduzione delle liste di attesa

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Bartoletti, A. (2005). Achille o la tartaruga? Una critica al concetto di terapia open-ended: la prospettiva della Terapia Breve Strategica. Psicoterapia e Scienze Umane4, 534-537.

Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e Pratiche. Firenze: Giunti Psychometrics.

Coccanari, M. A., Fornari, L., Rondano, F., Del Casale, A. N. T. O. N. I. O., Reli, A., & Piccione, M. (2005). Indicazioni alla psicoterapia breve: un’esperienza ad orientamento adleriano. Psicologia Individuale, 67.

Ferrero, A. (2008). I sogni nelle terapie a tempo limitato. Riv. Psicol. Indiv64, 57-70.

Hoyt, M. F. (2018). Psicoterapie brevi. Principi e pratiche. Cisu, Roma